All’inizio era soltanto un problema economico. Le auto elettriche cinesi, si diceva, avrebbero conquistato i mercati dell’Europa grazie ai loro bassi costi di produzione. A causa degli altrettanto bassi prezzi di listino, molto più contenuti rispetto alla concorrenza, avrebbero generato un terremoto rilevante in uno dei comparti chiave dell’Unione europea. L’Ue ha così iniziato a sfogliare il dossier in maniera approfondita, rendendosi conto che la situazione era delicata e che servivano contromisure per proteggere l’intero settore delle quattro ruote. Peccato che alcune delle case automobilistiche più importanti del continente – dal gruppo Renault a Mercedes-Benz - avevano iniziato, in realtà ormai da svariati anni, a collaborare con le controparti cinesi per farsi strada nel settore degli Ev (Electric Vehicle). Non solo: molte aziende avevano anche investito fiumi di denaro oltre la Muraglia nel tentativo di espandere le rispettive quote di vendita nell’immenso mercato cinese. Risultato: qualsiasi pugno duro di Bruxelles a difesa del comparto auto regionale della “minaccia cinese” avrebbe provocato l’inevitabile reazione di Pechino. A quel punto, quando i governi hanno iniziato a capire che forse era meglio gestire l’imminente rivoluzione che non cercare di bloccarla, la questione delle auto elettriche cinesi è sfociata nella geopolitica più pura, in un saliscendi di paranoie e supposizioni. Oggi non sono più le conseguenze economiche a spaventare le cancellerie europee, o almeno non solo quelle, quanto il rischio che il Partito Comunista Cinese possa sfruttare i veicoli elettrici sfornati dalle proprie aziende – un discreto numero delle quali unite in joint venture con marchi occidentali – per spiare i cittadini stranieri. Il presente, dunque, ci porta in una nuova arena di discussione. Che, in tutta obiettività, dovrebbe riguardare ogni Ev e non solo quelli made in China.
Auto elettriche e spionaggio: possibilità o paranoia?
Il dibattito infuria sui media del Regno Unito. Alcuni parlamentari conservatori hanno fatto notare ai loro colleghi e alle agenzie competenti un fatto non da poco: “Nel 2022, l’88% di tutti i passeggeri della Gran Bretagna ha viaggiato in macchina. È difficile immaginare infrastrutture più critiche (delle auto ndr) per la vita quotidiana nel Regno Unito, e per questo è assolutamente sbagliato consentire che venga ceduto il controllo di un settore così importante alla Cina”. Dunque, considerando che quasi tutti si spostano utilizzando le automobili e che, da qui al 2030 (quando Londra dovrebbe vietare la vendita di auto con il motore endotermico), le vendite di Ev cinesi potrebbero raggiungere il 90%, il potenziale rischio paventato è facile da immaginare. Facendo leva sui mezzi sfornati dalle proprie aziende, il Dragone potrebbe raccogliere ingenti quantità di dati sensibili dalle vetture made in China – o da aziende cinesi – oltre che intervenire su di esse da remoto. È davvero possibile? Innanzitutto, è doveroso rimarcare che tali incertezze riguardano tutte le auto elettriche e non solo quelle connesse a Pechino. All'inizio di quest'anno, non a caso, sono circolate notizie angoscianti secondo cui gli ingegneri di Tesla avrebbero condiviso filmati di telecamere presi dalle auto personali di cittadini possessori dei modelli Tesla all'insaputa dei loro proprietari. Non c'è da stupirsi, quindi, che una simile prospettiva abbia pietrificato i servizi di sicurezza di gran parte dei Paesi occidentali.
L’incubo dei servizi segreti
In breve, la sorveglianza remota delle automobili è possibile grazie all’esistenza dei cosiddetti moduli cellulari, piccoli componenti presenti in un’ampia gamma di dispositivi moderni, dai computer agli elettrodomestici. Servono a stabilire connessioni internet e a trasmettere enormi quantità di dati relativi al funzionamento degli oggetti nei quali sono inseriti. Detto altrimenti, i suddetti moduli consentono la connettività machine to machine nell'ambito di varie reti di comunicazione. Sono, insomma, componenti chiave del sistema che controlla sensori, telecamere, audio, capacità di geolocalizzazione, motore e altro ancora. Nel caso specifico delle auto, connesso a Internet, proprio come il vostro cellulare, il modulo cellulare funge da gateway per le informazioni che entrano ed escono dal veicolo. Ma dove finiscono questi dati? I produttori li usano per migliorare il design e le prestazioni, nonché per migliorare e aggiornare il software. Si dà il caso che la Cina domini il mercato globale nella fornitura di moduli e componenti annessi. "Supponiamo che io compri un'auto con uno di questi moduli cinesi e che sia stato invitato a tenere un discorso presso un istituto della Difesa. Se l’auto avesse delle telecamere, qualcuno dall’esterno potrebbe usarli per accenderle e acquisire i dati", ha detto al Telegraph l’ex diplomatico Charles Parton, membro senior del Royal United Services Institute.
L’ascesa del Dragone
La Cina è leader mondiale nei nuovi veicoli elettrici. Con una quota di mercato inferiore al 10% nel 2022, si prevede che le aziende cinesi conquisteranno il 15% dello spazio d’azione entro il 2025 e il 60% entro il 2030. Catl e Byd, due aziende cinesi che devono la loro ascesa ai massicci sussidi del Pcc, dominano ora i mercati globali dei veicoli elettrici e delle batterie. Catl, in particolare, produce una batteria su tre per veicoli elettrici e Byd è sulla buona strada per diventare il principale venditore di Ev al mondo. Il tredicesimo piano quinquennale della Cina, che ha regolato i suoi investimenti industriali tra il 2016 e il 2020, ha acceso i riflettori sul controllo delle catene di fornitura di batterie e veicoli elettrici, compresi i minerali critici delle terre rare, e potrebbe aver dato al Paese un enorme vantaggio competitivo – forse irrecuperabile - rispetto agli Stati Uniti e ad altri Paesi. Nel frattempo, il gigante asiatico ha superato il Giappone come maggiore esportatore di auto elettriche, raggiungendo le 4 milioni di unità. Anche se la scelta dell’Occidente di puntare sugli Ev è senza dubbio positiva, e in linea con la volontà di decarbonizzare il settore dei trasporti, una frettolosa adozione di questi mezzi potrebbe, più che consolidare le posizioni di mercato dei colossi delle batterie di Pechino, consegnare alla Cina un’enorme leva strategica da sfruttare in caso di necessità. La presunta minaccia, in ogni caso, non proviene solo dai marchi cinesi o da aziende di proprietà cinese come Volvo e Mg. Semplicemente, qualsiasi automobile con un modulo cellulare prodotto da un produttore cinese, come Quectel o Fibocom, potrebbe vedere i suoi dati (anche quelli sensibili) risucchiati dal Dragone. Come se non bastasse, intervenendo da remoto sui moduli i veicoli possono essere resi inabili o manomessi. Qualcuno potrebbe anche pensare di fermare i trasporti nazionali di una nazione rivale in un momento di tensione. E la Cina? Il governo cinese, molto più attento di noi nel salvaguardare la sicurezza nazionale, ha già preso adeguate contromisure contro ipotetiche minacce straniere. Pechino ha bandito le auto Tesla dalle aree militari e sensibili della nazione, compresi i luoghi nei quali soggiorna o transita il leader Xi Jinping, come la città di Beidaihe, che ospita i ritiri estivi del Partito.