Una vera e propria mazzata sulle tasche degli italiani: in appena dodici mesi, il costo medio per mantenere un conto corrente è schizzato alle stelle, con rincari che superano il 20%. A pagare il prezzo più alto sono soprattutto pensionati e famiglie, spesso poco inclini alla digitalizzazione, che si ritrovano intrappolati in pacchetti bancari rigidi, poco trasparenti e sempre più cari. Lo rivelano i dati di un’indagine approfondita di Altroconsumo, ripresa da L’Economia del Corriere della Sera, che mette a nudo un mercato bancario italiano ancora molto frammentato e poco attento alle reali esigenze dei clienti. Nonostante le promesse della rivoluzione digitale e le normative europee volte a contenere i costi, la realtà è che la gestione del conto continua a rappresentare un costo significativo per milioni di italiani. Il profilo più colpito è quello dei pensionati, che pagano in media 47,15 euro all’anno per un conto con operatività media (circa 190 operazioni). Il rincaro, pari al 23% rispetto all’anno precedente, si traduce in un aggravio di spesa che pesa soprattutto su chi utilizza meno i canali digitali, preferendo recarsi in filiale per ogni operazione. Le famiglie, con un utilizzo più intenso (circa 230 operazioni annue), registrano un aumento del 21% portando la spesa media a 41,31 euro. Anche i giovani, pur spendendo meno in assoluto (29,98 euro in media, +17%), non sono immuni dai rincari e spesso subiscono costi nascosti legati a servizi accessori. Non tutte le banche si muovono allo stesso modo. Intesa Sanpaolo ha rilanciato con tre nuovi pacchetti conto (XMe Gold per famiglie e pensionati, XMe Silver per i giovani), riducendo sensibilmente i canoni annuali: da oltre 200 euro a poco più di 120 per famiglie e pensionati, e da quasi 170 a 115 euro per i giovani. Poste Italiane si conferma la più competitiva, grazie a sconti mirati che le permettono di offrire tariffe molto vantaggiose: 98,15 euro per famiglie, 89 euro per pensionati e appena 29 euro per giovani. Al contrario, Monte dei Paschi registra aumenti superiori al 50%, mentre Unicredit, pur vantando riduzioni fino al 73%, non rientra nella media generale per via di una metodologia di calcolo dell’Indice dei Costi Complessivi (ICC) differente.

L’Indice dei Costi Complessivi, introdotto vent’anni fa per semplificare la comparazione tra offerte bancarie, oggi mostra tutte le sue lacune. Il crollo dell’uso degli assegni, da 450 a 60 milioni l’anno, e la diffusione di pagamenti digitali e app hanno completamente cambiato il modo di usare il conto. Banca d’Italia e ABI sono al lavoro per aggiornare l’ICC, affinché rifletta meglio le reali abitudini degli utenti e fornisca un indicatore più chiaro e affidabile. Un passo fondamentale per consentire a consumatori sempre più consapevoli di scegliere il conto più adatto senza sorprese. Il quadro che emerge è chiaro: chi resta legato a conti tradizionali e filiali rischia di pagare molto di più, anche senza accorgersene. Al contrario, orientarsi verso offerte digitali e confrontare periodicamente i costi può portare a risparmi importanti. Tuttavia, il cambiamento non è sempre semplice, soprattutto per pensionati e famiglie meno avvezzi alle tecnologie, che si trovano spesso a fronteggiare procedure burocratiche complesse o servizi poco chiari.
