Volete sapere che cosa sta diventando il panorama bancario italiano? Sul piano della comunicazione, una versione secchiona ma non meno spregiudicata della politica del nostro Paese. Perché da qualche mese, e cioè da quando il risiko bancario è assurto a tema immancabile nelle pagine dei quotidiani, le scaramucce tanto familiari all’agone politico sembrano aver attecchito anche tra i palazzi del potere creditizio nostrano. D’altronde, la sequenza di acquisizioni e contro-acquisizioni lanciate tra Milano, Roma e Trieste – il principale triangolo del risiko – ha l’ambizione di stravolgere gli assetti del potere bancario. Una posta talmente alta che anche il governo di Giorgia Meloni ha deciso di giocare un ruolo attivo nella partita, muovendo i fili del Golden Power. Dal punto di vista strettamente economico, il risiko è stato, finora, un toccasana per le casse delle banche: il primo trimestre del 2025 ha significato un aumento degli utili sia per gli attori coinvolti attivamente che per quelli che hanno deciso di giocare d’attesa: guardando ai primi cinque gruppi bancari italiani – Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Bper, Monte dei Paschi (Mps) –, che rappresentano circa la metà del mercato italiano, “l’utile netto aggregato tra gennaio è marzo è stato di 67, 5 miliardi di euro, un più 12 per cento sull’anno precedente”, scrive La Repubblica. Non si contano le corse degli amministratori delegati ad annunciare davanti agli analisti il “miglior trimestre della storia”.

Così come non si contano le stoccate tra banchieri che hanno arroventato le conferenze stampa al termine dei consigli di amministrazione. Da una parte i due di picche tra Alberto Nagel, alla guida di Mediobanca, e Luigi Lovaglio di Mps, dall’altra le boutade dell’amministratore delegato di Unicredit Andrea Orcel – al centro di una “famelica” stagione di acquisizioni– nei confronti degli omologhi di Banco Bpm (Giuseppe Castagna), Commerzbank e Generali, i “predati” di Piazza Gae Aulenti. E, ovviamente, nei confronti del ministero dell’Economia e delle Finanze, che il 18 aprile scorso ha firmato un dpcm con il quale ha imposto il Golden Power che ha bloccato l’offerta pubblica di scambio lanciata da Orcel su Piazza Meda. Ma a scaldare gli animi ci aveva pensato il banco senese a gennaio, dopo l’ops lanciata su Mediobanca. Il tentativo di scalata a Piazzetta Cuccia – che conservava in pancia il 13 per cento di Generali – ha portato Nagel a provare una contromossa, realizzatasi nell’ops da oltre 6 miliardi di euro lanciata a Banca Generali, che Mediobanca vorrebbe pagare usando come moneta di scambio proprio la quota di partecipazione nel Leone triestino: “Dopo la nostra ops Piazzetta Cuccia si è svegliata”, aveva detto Lovaglio, manifestando apprezzamento per l’operazione dopo “oltre 10 anni in cui affidava un 40 per cento del bilancio e degli utili al management di un altro settore” – quello di Generali, s’intende. In parole, povere, un’accusa di “campare” grazie ai risultati del gigante triestino piuttosto che per il valore generato da acquisizioni proprie. La pronta risposta di Nagel – che ha più volte suggerito a Mps di guardare altrove – ha ovviamente fatto riferimento alle vicissitudini recenti del banco senese, salvato da governo dopo il dissesto del 2013: “Io per buon gusto e carità di patria non ripercorro gli ultimi 10 anni di Mps. Ha avuto le sue traversie e noi lo abbiamo aiutato”, ha detto Nagel.

In quest’inattesa trasformazione del linguaggio bancario in vernacolo d’assedio che non fugge i cronisti, anzi, li chiama a sé per invitarli ad alzare o abbassare i toni a seconda delle necessità e della risposta delle borse, non si può non menzionare Andrea Orcel. L’amministratore delegato di Unicredit è passato dal criticare l’ad di Generali in quota Mediobanca, Philippe Donnet, per l’idea di fusione con i francesi di Natixis alla vigilia del voto per il rinnovo del board del Leone – nel quale ha infine optato per appoggiare la lista avversaria di Francesco Gaetano Caltagirone –a “correggere i conti” presentati dal capo di Banco Bpm Giuseppe Castagna, per sottolineare la spinta agli utili di Piazza Meda conseguente all’ops di Unicredit. Sul governo, invece, Orcel resta per ora prudente, perché la partita è ancora tutta da giocare. Il confronto con il Mef per ammorbidire le posizioni del governo è partito male, dopo lunghe settimane di silenzio pare che le parti si rincontreranno a breve. Ma ha avvisato più volte che la pazienza non è infinita, e ha espresso dubbi sulla legittimità dei vincoli imposti dal governo sulla scalata a Bpm, gli stessi che potrebbero essere oggetto della vigilanza dell’Unione europea. Nel frattempo, il numero uno di Gae Aulenti ha trovato una sponda politica in Matteo Renzi che, intervistato al Foglio, ha definito “pericolosa” (dopo aver già parlato di fatto “vergognoso” e di “scandalo assoluto”) la scelta di ricorrere ai poteri speciali: “Il Golden Power è uno strumento per difendere interessi nazionali in operazioni economiche che coinvolgono altri paesi. Ma qui c’è una operazione di mercato legittima tra due banche italiane. Che senso ha l’intervento del governo, non da arbitro ma da giocatore, solo per tutelare il presunto interesse di una parte?” Di certo, il senatore di Italia Viva non poteva on giocare anche su questo campo la sua battaglia a Giorgia Meloni e al centrodestra – che ai tempi di Banca Etruria bersagliarono Maria Elena Boschi e la sua famiglia in quella che definisce una “vergognosa caccia all’uomo, anzi alla donna”. D’altronde, con i toni di sfida che animano il risiko bancario da qualche mese a questa parte, l’occasione per affondare il dente avvelenato non poteva farsela scappare.
