Tutti amano Jeremy Clarkson, ormai è assodato. Giornalista e conduttore tv tra i più famosi d’oltremanica, e non solo, ha portato programmi televisivi come Top Gear, all’inizio trasmissione di nicchia che parlava di auto, alla fama mondiale, e poi è riuscito a conquistare anche lo streaming con The Grand Tour e La fattoria di Clarkson in onda sulla piattaforma Amazon Prime Video. Una vera icona del piccolo schermo inglese, e anche una sorta di eroe per varie categorie: da quella dei contadini a coloro che la pensano sempre diversamente, proprio come Jezza, questo il suo soprannome, che nelle sue rubriche nei maggiori quotidiani britannici, e con la sua solita ironia, fa sempre la parte del bastian contrario; insomma, basta andare nella direzione opposta rispetto alla maggioranza. Sì, è proprio amato da tutti, o quasi… Infatti per l’Economist, storico settimanale britannico (il cui gruppo ha come azionista principale la Exor di John Elkann: c'entrerà qualcosa?), Jeremy non sembra affatto godere di una grande stima, anzi. E di recente sul periodico è apparsa una vera e propria invettiva contro il giornalista, descritto come il “santo patrono della noia della Gran Bretagna”, e ancora come “incoerente” e come il “martire perfetto”. Tutto ciò a causa delle idee dello stesso Clarkson, e anche delle sue campagne, se tali possiamo definirle, politiche e non; passato da essere un “presentatore caduto in disgrazia” a un’icona dello “Yimby (Yes In My Back Yard)”, ma cosa vuol dire?
Per farla breve, l’Economist offre una visione piuttosto inusuale di Jezza, partendo proprio dalla sua fattoria ai margini delle Costwolds, la Diddly Squat Farm, e descrivendo i tanti “noiosi” che frequentano il negozio di Jeremy, una “dozzina di persone che hanno fatto la fila per mezz’ora per pagare 7,20 sterline per un barattolo di pesto e 32 sterline per 12 bottiglie di Hawkstone Lager, la marca (di birra, ndr) di Clarkson”. È questa, secondo il giornale inglese, la gente che segue Jeremy, “alcuni - si legge - sono agricoltori. Alcuni sono appassionati di benzina. Alcuni sono favorevoli all’uscita dall’Ue. Alcuni sono scettici del clima”, e poi ci sono gli altri noiosi: “Alcuni sono furiosi perché la Gran Bretagna ha lasciato l’Ue, e non smetteranno mai di farti sapere quanto sono arrabbiati. Alcuni sono eco-guerrieri, che mettono la biodiversità prima delle persone. Alcuni noiosi credono che costruire risolva ogni problema. In qualche modo, il signor Clarkson riesce a parlare a nome di tutti loro”. Sì, ma chi è il signor Clarkson? Il settimanale passa a rassegna alcuni dei punti cardine delle battaglie di Jezza, dal clima all'Europa, passando per l’agricoltura alle auto elettriche, e poi commenta: “Il signor Clarkson è ora un’improbabile pin-up per i giovani liberali noiosi che insistono sul fatto che la legge sulla pianificazione è la causa e la soluzione di tutti i problemi della Gran Bretagna”. Inoltre, viene riportata anche l’ambiguità di Jeremy sul tema della Brexit: “Quasi tre britannici su cinque pensano che Clarkson abbia votato per lasciare, secondo un sondaggio di Focaldata, un gruppo di ricerca. In realtà ha votato per rimanere”. E, infine, conclude così: “In un paese in cui i politici cercano ancora il centro, un buon punto da cui iniziare a cercare è l’incoerenza di Clarkson. Dopotutto, chi parla per la noia parla per la Gran Bretagna”. Una sorta di campagna denigratoria, se tale è definibile, che sembra assumere i tratti di quella attuata dalla stessa testata nel lontano 2001, quando al posto di Clarkson c’era Silvio Berlusconi, allora etichettato come “unfit to lead Italy”, ovvero incapace di guidare l’Italia, in vista delle elezioni dell’epoca. Quella copertina, tanto discussa, diede vita a un’infinita battaglia legale tra il settimanale britannico e il Cavaliere, terminata solamente pochi anni fa. Ma davvero Jeremy e Silvio si assomigliano?