Esiste una categoria di figure pubbliche che sfidano ogni classificazione. Jeremy Clarkson è una di queste: eccessivo, irriverente, spesso sopra le righe. Ma c’è una cosa che non è mai stato: irrilevante. Ora, però, la domanda è più complessa: potrebbe mai, come ipotizzato da The Telegraph, diventare il volto di un nuovo movimento politico britannico?
A prima vista, l’idea sembra assurda, una battuta nata per divertire i frequentatori di pub nelle campagne del Cotswolds. Ma il contesto suggerisce il contrario. Clarkson, ormai 63enne, non è solo una reliquia sacra di Top Gear o il protagonista del successo di Clarkson’s Farm. È diventato, più o meno involontariamente, la voce di un malcontento sempre più diffuso, una sorta di catalizzatore per chi si sente tradito da un establishment percepito come distante e disinteressato.
Immaginate Jeremy con il microfono in mano, a Parliament Square, che parla con gli stivali infangati mentre una folla di agricoltori lo ascolta come si ascoltano i leader, quelli veri. Be’, è successo.
“Sono qui per dirvi che qualcosa deve cambiare”, ha detto Clarkson. E per un attimo, quel “qualcosa” si è riempito di significati che vanno oltre la politica. È la rabbia di chi si sente ignorato, la stanchezza di chi lavora la terra, il desiderio di un linguaggio più semplice, meno intellettualismi, più cuore. In meno di cinque minuti, Jezza è passato dall’autoironia al sarcasmo pungente, dalle critiche al governo a una stoccata contro la Bbc. Con la folla ad ascoltare rapita quell’improbabile antieroe.
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Clarkson non è nuovo a catalizzare l’attenzione, ma questa volta l’obiettivo sembra andare oltre l’intrattenimento. È qui che emerge il parallelo con Donald Trump, un altro showman capace di convertire la propria popolarità in capitale politico. Entrambi multimilionari, entrambi polarizzanti, entrambi portatori di una narrazione che sfida le convenzioni tradizionali. Ma Clarkson non è Trump, nonostante i confronti: il suo approccio è più ironico, meno ideologico, e soprattutto radicato in una cultura tipicamente britannica, fatta di understatement e cinismo.
Ciò che distingue Clarkson non è solo il carisma, ma l’autenticità percepita. Come osserva James Frayne, esperto di comunicazione politica, “Clarkson rappresenta una versione coerente di sé stesso. È difficile immaginarlo recitare un copione scritto da qualcun altro”. Questa coerenza, in un’epoca di politici spesso percepiti come artificiosi, potrebbe essere la sua arma più potente.
Con quasi 18 milioni di follower sui social media – il doppio dei voti raccolti dal Partito Laburista nel 2024 – Clarkson ha un’audience che i politici tradizionali possono solo sognare. Ma il suo messaggio resta nebuloso. Se è chiaro ciò che detesta – burocrazia, politicamente corretto, eccesso di regolamentazione – meno chiari sono i suoi obiettivi concreti. “Il governo dovrebbe limitarsi a costruire panchine nei parchi e lasciarci in pace,” ha dichiarato una volta. Una posizione che suona come una boutade, ma che racchiude una critica feroce alla complessità dell’apparato statale moderno.
Clarkson, un outsider in un sistema (troppo?) rigido
Il sistema politico britannico, però, non è progettato per outsider. A differenza degli Stati Uniti, dove Trump ha cavalcato le primarie repubblicane per raggiungere la Casa Bianca, Clarkson si troverebbe a fronteggiare un sistema parlamentare radicato in logiche di partito. Potrebbe seguire l’esempio di Nigel Farage, influenzando la politica dall’esterno, ma una corsa diretta a Downing Street appare improbabile.
Eppure, il suo impatto non può essere sottovalutato. In un clima politico in cui la rabbia sociale cresce e le istituzioni sembrano incapaci di rispondere, Clarkson potrebbe rappresentare qualcosa di più di un personaggio mediatico: potrebbe diventare il simbolo di un’Inghilterra che cerca di ritrovare sé stessa, anche a costo di abbracciare un leader improbabile.
Jeremy Clarkson non è, e probabilmente non sarà mai, un politico tradizionale. Ma il malcontento che rappresenta è reale, così come la sua capacità di parlare a chi si sente dimenticato. Se decidesse di candidarsi, non sarebbe semplicemente un gesto teatrale. Sarebbe un terremoto in un sistema politico che, forse, ha più bisogno di scosse che di stabilità.
E allora, la domanda resta aperta: Jeremy Clarkson sarà mai il leader che nessuno si aspetta, ma che molti, in segreto, già desiderano?