Sono passati sei anni da quel fatale 2016 in cui il giovane ricercatore triestino Giulio Regeni è stato sequestrato, torturato e assassinato in Egitto. Secondo la Procura di Roma, i responsabili hanno nome e cognome e sono il generale Tarik Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Uhsam Helmi il maggiore Magdi Abdelal Sharif, tutti appartenenti all’apparato repressivo del regime di Al Sisi. Dall’incontro bilaterale fra il nuovo capo del governo italiano, Giorgia Meloni, e il dittatore egiziano in occasione della conferenza sul clima Cop27 a Sharm El Sheikh, è uscito un comunicato ufficiale in cui si legge che l’Italia ha mostrato “forte attenzione” al caso Regeni (e a quello di Patrick Zaki, lo studente dell’ateneo di Bologna prima sbattuto in galera con l’accusa di far circolare “notizie false” e poi scarcerato, ma con divieto d’espatrio dal Cairo). Le possibilità che gli imputati siano assicurati alla giustizia italiana sono praticamente nulle: la magistratura egiziana ha archiviato, mettendoci una pietra tombale. E, purtroppo, non potrebbe essere che così. Ne è convintissimo Domenico Quirico, inviato ed editorialista de La Stampa, che non è affatto stupito dell’ennesima dichiarazione su una vicenda il cui destino era segnato fin dall’inizio.
Domenico Quirico, anche con la Meloni siamo alle solite formule diplomatiche prive di sostanza?
Del caso Regeni si sono occupati governi di diversa natura politica. Il problema iniziale è che ci sono due diverse filosofie giuridiche e politiche su questa tragedia. Nell’Egitto di Al Sisi, ma anche in quello di Mubarak (il dittatore precedente, ndr), i servizi di sicurezza sono onnipotenti, indiscutibili e al di sopra della legge. L’Egitto è uno degli innumerevoli Paesi di non-diritto che esistono al mondo. C’è una sorta di dialogo fra sordi, quindi.
O meglio con un sordo, l’Egitto.
Da una parte ci siamo noi, che giustamente invochiamo la nostra cultura del diritto. Voglio dire: uno sparisce nel nulla, viene preso in pieno giorno da tizi che secondo la Procura di Roma sono uomini dei servizi di sicurezza egiziani, e queste persone andrebbero interrogate e, se responsabili, processate e punite. Così funziona da noi. Ma non funziona così in Egitto. Per ottenere l’invocata “verità”, tutto quello che è stato fatto è totalmente inconsistente. Gli Egiziani guardano questi italiani che dall’Europa urlano e chiedono un processo in uno Stato, il loro, in cui questo è impossibile, perché gli apparati di sicurezza rispondono a un potere autocratico. Bisognava forse fare delle cose diverse, anziché inviare richieste e contro-richieste, della serie “per favore, Al Sisi, non potresti processarli?”.
Cosa avrebbe dovuto fare di diverso l’Italia?
Il diritto internazionale non è una mica chiacchiera. Se si ritiene che i responsabili della sicurezza e i loro superiori gerarchici, cioè il ministro degli Interni, il capo della polizia e il capo del governo, siano colpevoli di aver sequestrato e ucciso un cittadino straniero, in questo caso italiano, bene: si rompono le relazioni diplomatiche con quel Paese, con i suoi vertici, si caccia l’ambasciatore di quel Paese e si richiama il proprio ambasciatore, perché non si vuole avere più niente a che fare con quel Paese fino a quando i colpevoli, diretti e indiretti, non vengano assicurati alla giustizia, e ci si rivolge ai trattati internazionali per mettere sotto accusa non il tirapiedi della gendarmeria del Cairo o il colonnello non-so-chi, ma coloro che devono rispondere, in base al principio elementare di gerarchia, per i misfatti commessi da quelle persone. Se invece si va avanti così, chiedendo se per cortesia potrebbero arrestare i loro agenti e consegnarceli così li processiamo, i poveri genitori di Regeni possono stare qui fino al prossimo millennio. Punto.
Nel faccia a faccia fra Meloni e Al Sisi si sarà parlato di più dei giacimenti di idrocarburi scoperti dall’Eni in Egitto, o di un cavo sottomarino da costruire per far passare l’energia elettrica fra i due Paesi. Alla fine viene sempre prima l’interesse politico, no?
È chiaro che l’Egitto è un Paese fondamentale per la geopolitica e per l’economia di quella parte del mondo, perché combatte i jihadisti e li elimina in senso fisico, perché con Israele fa pucci pucci e non ci fa più le guerre, ma a me interessa il discorso sul diritto, qui. Altrimenti bisogna dire chiaro e tondo che non possiamo disturbare l’Egitto perché l’Egitto è più importante di noi. Questa è la verità.
Ma non siamo un partner strategico nel Mediterraneo per la Nato?
L’Italia non conta un tubo nello scacchiere internazionale. L’Egitto conta molto. Bisogna che qualcuno glielo dica, ai due sventurati genitori di Regeni. Altro che andare da Fabio Fazio a dire “noi non molleremo, li costringeremo a darci l’indirizzo di questi signori…”.
Mentre l’Egitto tesaurizza il suo impegno contro l’integralismo islamico. A proposito, l’Isis è morto? Non se ne parla più.
Non mi risulta che sia morto, visto che si dà un gran daffare in un sacco di posti nel mondo. Forse il non parlarne è un modo per esorcizzarli, come si fa con gli spiriti maligni che, evocandoli, poi si materializzano. Ma tanto poi si materializzano da soli.
La politica estera del governo più a destra della storia repubblicana potrà riservare qualche sorpresa, secondo lei? O, come in economia sul “rigore”, si continuerà sul binario obbligato dell’atlantismo senza deflettere di un millimetro?
Dal punto di vista dell’atlantismo la Meloni mi sembra che sia più filo-atlantica del segretario generale della Nato. Semmai sono i suoi alleati che hanno delle sfumature critiche. In economia non è che si possano fare rivoluzioni: con i conti bisogna fare i conti, come si diceva una volta. Con la nascita dell’Unione Europea gli Stati hanno perso il controllo della politica monetaria, a quel punto i margini di manovra sono ridotti praticamente a zero e l’unica cosa che si può fare è allinearsi.
Niente leva monetaria, niente leva militare. Unendo le due cose, si spiega forse perché non contiamo un tubo.
Cosa conta l’Italia dal punto di vista militare? Niente. Smarcarsi dalla Nato non esiste. Forse potrebbe esserci la neutralità, ma i Paesi neutrali ci hanno rinunciato, quindi figuriamoci. Il fatto che non abbiamo margini di autonomia è un dato oggettivo. Soprattutto in un’epoca in cui si raccoglie attorno a due schieramenti contrapposti, armati fino ai denti e che si guardano in cagnesco. Uno può anche inseguire “terze vie”, ma in periodi in cui la situazione internazionale è totalmente tranquilla, e non è certo questa che stiamo vivendo. Oggi siamo obbligati a chiedere protezione allo schieramento a noi più compatibile e in cui siamo storicamente collocati, che è quello occidentale, non certamente le autocrazie.
Come l’Egitto.
Certo. Se uno ci fa affari e li riconosce come utili, poi però non può pretendere che si comportino diversamente da come si comportano, cioè come dittature in cui il diritto conta niente.