Criminali o persone che hanno commesso un crimine? La differenza è sostanziale. Di ciò che passa tra le due categorie Gianluigi Nuzzi ha chiesto al direttore del carcere di Bollate, Giorgio Leggieri: “Condivido pienamente questo approccio che focalizza l'attenzione sulla persona e sul comportamento deviante messo in atto più che sull'etichetta di deviante attribuitagli dalla reazione che un certo contesto sociale, in un determinato momento storico, può avere nei confronti del fatto reato commesso”. Insomma, non ci sono criminali “per natura”. Ciò che conta è l’ambiente che circonda i detenuti. In Italia, poi, si “oscilla perennemente tra due culture contrapposte: quella del ‘garantismo’ a favore del primato delle garanzie individuali e dei diritti individuali e quella del ‘giustizialismo’ a favore del primato della potestà punitiva dello Stato a discapito dei diritti di libertà della persona”. Ciò produce “Un conflitto insanabile tra due istanze che finisce con il mortificare sia la funzione principale e fondativa del processo penale che è quella di accertare la responsabilità di un fatto criminale sia la funzione rieducativa della pena detentiva gestita dall'Amministrazione Penitenziaria, a favore piuttosto di aspettative satisfattorie che pongono reo e Stato sullo stesso piano: quando così non è”. E al centro, dice ancora il direttore Leggieri nell’intervista a La Stampa, c’è la tutela della vittima, che deve essere perseguita attraverso in primis un giusto processo e successivamente attraverso una pena ‘utile’ che per essere tale deve innescare un processo di cambiamento della persona”. Certi delitti, però, sono decisamente imprevedibili. Il riferimento di Nuzzi è al caso di Emanuele De Maria, accusato dell'omicidio di Chamila Wijesuriya e di aver provato ad uccidere Hani Nasr. De Maria si è poi suicidato buttandosi dal Duomo di Milano.

Ci sono dei parametri che caratterizzano il “modello Bollate” e sono il “tempo di apertura delle camere per almeno dieci ore al giorno. Valorizzazione dei contenuti del tempo di apertura con lo sviluppo di attività articolate nell'arco della giornata. Accessibilità in autonomia a spazi comuni con specifica destinazione d'uso. Target di popolazione detenuta assegnata e quindi solo ‘condannati con sentenza passata ingiudicato’, provenienti da altri istituti e non direttamente dalla libertà - e comunque dopo essere stati valutatati come idonei nell'istituto di provenienza per seguire percorsi più strutturati gestiti con una soglia maggiore di autonomia e responsabilizzazione”. I dati preoccupanti sono l’aumento di presenza di detenuti della fascia tra i 18 e i 25 anni. Persone che necessitano di “un'offerta formativa e lavorativa mirata, una strategia trattamentale in grado di sollecitarne risposte costruttive, anche con l'ausilio dell'intervento tra ‘pari’ con detenuti adulti che svolgono il ruolo di supporter”.
