L’ultima trovata della Lega per scavalcare a destra Fratelli d’Italia è vietare l’antisemitismo (o presunto tale) per legge. O, per essere esatti, la sua manifestazione in pubblico. Ieri è stata depositata da alcuni senatori del Carroccio una proposta sulla “definizione operativa di antisemitismo” e il “contrasto agli atti di antisemitismo”, che autorizza le questure di polizia a negare il permesso a raduni o cortei “per ragioni di moralità” (sic) nel caso di “grave rischio potenziale per l’utilizzo di simboli, slogan, messaggi e qualunque altro atto antisemita”. E per antisemita, i leghisti intendono “una determinata percezione degli ebrei che può essere espressa come odio nei loro confronti, le cui manifestazioni, di natura verbale o fisica, sono dirette verso le persone ebree e non ebree, i loro beni, le istituzioni della comunità e i luoghi di culto ebraici”. Nella relazione illustrativa, si spiega meglio il concetto riferendosi ai “focolai che si sono già estesi sotto la veste di antisionismo, dell’odio contro lo Stato ebraico e del suo diritto a esistere e difendersi. La moltiplicazione di episodi antisemiti si è in parte fondata sul negazionismo delle violenze perpetrate il 7 ottobre e su un radicale rifiuto di Israele che ripropone, proiettandolo sulla dimensione statuale, pregiudizi antisemiti ancora troppo diffusi”. Si propone poi di creare una banca dati ad hoc, ossia una schedatura sugli episodi incriminati, e di sensibilizzare scuole e forze dell’ordine sul tema. Il progetto legislativo potrebbe anche essere incluso come emendamento al disegno di legge sulla sicurezza in arrivo al Senato. Diciamolo subito: la pensata degli zelantissimi censori salviniani è sbagliata alla radice, tragicomicamente incoerente, e anche politicamente cretina.
È sbagliata di per sé poiché proibire l’espressione di idee dovrebbe essere proibito, in una democrazia che ne stabilisca l’invalicabile limite nel solo codice penale. Chiunque dovrebbe poter dire pubblicamente quel che pensa, purché non lo faccia ricorrendo o istigando alla violenza fisica. Purtroppo in Italia esistono ancora i reati d’opinione, e perciò quel limite è stato valicato, anche se, intendiamoci, va comunque rispettato, come tutte le altre leggi: brutta lex, sed lex. Si dà il caso, però, che fra i suddetti reati in sé liberticidi ci sia quello introdotto dalla legge Mancino del 1993 che fa divieto di compiere “manifestazioni esteriori” a movimenti o associazioni che incitino alla “discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. È la famosa norma mirata a reprimere il razzismo in tutte le sue forme, anche solo simbolico, inteso come “idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico”. Detto che il razzismo, non soltanto biologico ma in tutte le accezioni, è un insulto all’intelligenza prima ancora che alla dignità, la destra ha sempre osteggiato la legge Mancino. E l’ha fatto su una duplice spinta. Da un lato, in base a un principio corretto: odiare verbalmente o per iscritto, al di là dell’oggetto, dovrebbe essere lecito. Vero è che generalizzare e semplificare è sempre stupido, ma io devo poter dire lo stesso che odio, poniamo - anche se non è vero, sia chiaro - i turchi per la persecuzione dei curdi o, con tutte le strampalate ragioni possibili, i cristiani, o l’etnia vattelappesca. Dall’altro lato, per una esigenza discutibile e, nello specifico, ipocrita: cercare di coprire certo razzismo che alligna nelle frange di estrema destra e, in parte, nel popolo della destra tout court. Ancora nel 2018, cioè ieri, la stessa Giorgia Meloni voleva stracciare la Mancino: “Siamo sempre stati contrari ai reati di opinione – dichiarava all’Ansa il 3 agosto di quell’anno - perché riteniamo la libertà di espressione sacra e inviolabile”. E si diceva pronta a riproporne “l’abrogazione”, che in quel momento era stata rilanciata proprio da un leghista, Lorenzo Fontana (oggi presidente della Camera), d’accordo con Matteo Salvini (“alle idee si contrappongono altre idee, non le manette”).
La Lega, va ricordato, nel 2014 propose pure un referendum per abolirla. Oggi invece si inventa un quasi-reato per comprimere il diritto di manifestare a chi è tacciato di antisemitismo, cioè di odio per gli ebrei in quanto tali, giocando sulla scorretta confusione con l’antisionismo, che è l’odio per lo Stato di Israele, colpendo magari chi non abbraccia né l’uno né l’altro ma scende in piazza per denunciare la “carneficina” (cit. monsignor Pietro Parolin: antisemita anche lui?) in corso a Gaza. Ecco perché la proposta ha anche un’incoerenza da guinness dei primati. Ora, va bene che la politica insegue le contraddizioni della realtà, ma qui siamo a livelli da sputo in faccia agli elettori. E infatti, la mossa è controproducente anche sul piano elettorale. Domanda: ma secondo questi geni da think tank, poco think e molto tank, gli elettori del loro stesso bacino di voti sono davvero tutti schierati come un sol uomo, a prescindere, con quanto stanno combinando l’esercito e il governo israeliano, che per ritorsione all’uccisione e al sequestro di centinaia di propri civili hanno massacrato, e continuano a massacrare, con le bombe o per fame, decine di migliaia di civili palestinesi? E inoltre, messa su di un meno urgente ma dirimente piano ideologico, sono proprio sicuri, i signori leghisti, che recitare ora la parte dei guardiani del politicamente corretto, sposando l’identica logica della Mancino che fino a ieri schifavano, farà guadagnare consensi rubandoli al partito della premier? Ma che gli dice il cervello, a questi fini strateghi?
Proviamo una risposta: non c’è nessuna strategia se non quella di accodarsi, attribuendosi il ruolo di pasdaran, alla corrente dell’ossequio reverenziale a Israele dominante a destra, e solo un po’ meno a sinistra. In particolare utilizzando come arma “operativa” l’argomento morale, ricattatorio, dell’antisemitismo e sparare così nel mucchio, non solo per delegittimare, ma adesso pure per impedire il diritto alla contestazione. Difatti, per perseguire il famigerato “odio” di tipo razzista, e quindi eventuali reati penali, vale già la Mancino, che come per magia, oplà, ora di fatto rivalutano. Scrivere quel testo di legge a metà fra il predicozzo e l’ordine di caserma, invece, tradisce solo una volontà di parte di bollare con il marchio infamante dell’antisemitismo opinioni contrarie alle proprie, per inibirle e interdirle. Del resto, viviamo sotto una tale cappa persecutoria che nemmeno più è consentito il libero uso delle parole, per cui si è arrivati al punto di considerare il termine “genocidio” una proprietà esclusiva degli israeliani, che mediante ambasciata si permettono di redarguire a destra e a manca chi si azzarda a denunciare quello di cui è vittima il popolo palestinese. Tirando le somme: la destra si rimangia vent’anni di polemica contro i reati d’opinione, introducendo l’idea autoritaria di una verità definita dall’alto, fin nei giudizi sulla cronaca di questi mesi e, quel che è peggio, imposta tramite le questure. Il tutto per un miserabile calcolo elettoralistico, il quale, molto presumibilmente, è pure cannato. La situazione, come sempre, è grave, gravissima, ma non granché seria - se non fosse che di mezzo ci sono la vitale libertà di espressione e i morti, palestinesi e israeliani. Strumentalizzati per fare, come noi italiani siamo usi fare dalle servili e aberranti leggi razziali del ’38, i più realisti del re.