Per Paolo VI la politica era “la più alta forma di carità”. Noi ci accontentiamo di dire che la politica è, anche, forma. Vincenzo De Luca, governatore della Campania e regnante popolare, sale a Roma, tenda di superare la cordata di forze dell’ordine: “Dovete caricarci, dovete ucciderci!” ripete. Faccia a faccia con i “servitori dello Stato”. La protesta riguarda l’autonomia differenziata, la fumosa possibilità di perdere dei soldi dalla Capitale destinati al Mezzogiorno. L’autonomia differenziata è una manovra criticabile e monca, che sembra più una mossa politica (nella direzione giusta) che non una svolta di fatto. Ma tanto basta ad allarmare De Luca e altri sindaci campani, che marciano su Roma in cerca di quanto gli è dovuto per abitudine e poco altro (certo non per questioni morali). Tenendoci cautamente lontani dal voler discutere di questi temi e della loro riduzione al mero “dare i soldi al Mezzogiorno” – schifezza politica già criticata da un pericolosissimo polentone sabaudo, Leonardo Sciascia, che vedeva nei regali al Sud un regalo alla mafia – vale la pena spiegare perché, se il Sud si sente rappresentato da persone come De Luca, allora il Sud è finito. Non sarà l’autonomia differenziata a uccidere il Sud, ma l’ideologia assistenzialista e il capriccio dei politici. Può un governatore di una regione rispondere alla premier in carica dandole della stron*a? Giorgia Meloni avrebbe infatti suggerito a De Luca di “andare a lavorare”. E lui risponde: “È intollerabile il trattamento riservato a centinaia di sindaci che non hanno i soldi per l’ordinaria amministrazione. Lavora tu, stron*a!”
Parlando di Beppe Grillo, Giovanni Sartori disse: “Se continuasse a crescere l’Italia diventerebbe il pagliaccio del mondo. Non si è mai visto un Paese governato per vent’anni anni da un ex presentatore di varietà sui piroscafi [Berlusconi, ndr] e ora addirittura da un comico che tra l’altro si rifiuta alla discussione”. C’erano motivi tecnici – le “proposte risibili, il mondo riderebbe” – e motivi formali, laddove – come spesso accade nella storia civile di un Paese, anche la forma è sostanza. Può un Paese democratico e progredito affidarsi ai capipopolo, ai Masaniello senza modi e forma? È una domanda che, guardando a destra, è stata posta anche riguardo al sindaco di Terni, Stefano Bandecchi, un personaggio di totale interesse televisivo, ma i cui modi (la rissa sfiorata con un consigliere, le battutacce a sfondo sessuale sulle donne) non sono degni di una democrazia occidentale. C’è un bilanciamento dinamico, un’oscillazione, che permette alle società sane di conservare credibilità e dignità senza stringere il collo alla libertà di espressione. Si chiama costume. Il costume politico, ancora di più nelle democrazie rappresentative, riguarda i modi, i toni e l’eloquio di chi governa. È buon costume avere persone competenti (sostanza) che sappiamo confrontarsi con competenza ed equilibrio (forma). Mario Draghi o Mario Monti, per fare due nomi recenti, hanno rappresentato, al di là del giudizio politico, proprio questo.
Come accade in qualsiasi gruppo sociale, dove il rispetto e il senso delle istituzioni deve nascere nel piccolo, nell’indesiderato, in ciò che “scappa di bocca” – pensate alla parolaccia rimproverata al bambino in famiglia – così un governatore non dovrebbe offendere, stando al suo ruolo, un’altra carica istituzionale. Se, come sostiene De Luca, l’arrivo a Roma serviva a “bloccare il racconto infame per il quale al nord c’è la virtù e al sud ci sono i miserabili e i cialtroni” allora il Sud dovrebbe guardarsi bene da chi, come De Luca, sbaglia la forma prima ancora dei contenuti. Perché se il problema non è lo stato reale del Sud, ma la narrazione che se ne fa, allora per combattere una cattiva retorica serve una buona retorica, non una retorica infame e cialtrona.