La settimana scorsa è stato messo agli arresti domiciliari Mario Di Ferro, chef e gestore del ristorante dei vip di Palermo, Villa Zito, con l’accusa di fare da pusher di clienti in vista fra cui il deputato regionale (ed ex presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, nonchè già leader di Forza Italia nell’isola) Gianfranco Miccichè, e l’ex componente dello staff del presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, Giancarlo Migliorisi. La “roba”, cocaina, sarebbe stata fornita da Salvatore Salomone, ritenuto vicino alla mafia. A tutta prima, in un’intervista al Corriere della Sera, Miccichè aveva sostenuto di non fare più uso di cocaina da tempo. Ora, sentito davanti al gip in qualità di testimone non indagato, lo avrebbe invece ammesso. Aggiungendo che le Di Ferro non è uno spacciatore e le dosi non prevedevano passaggi in denaro. Nella politica isolana a farsi sentire quasi in solitudine è un altro parlamentare dell’Ars, Ismaele La Vardera, che chiede da giorni le dimissioni di Miccichè. Giornalista, ex Iena, La Vardera ricopre l’incarico di vicepresidente della commissione Antimafia del parlamento della Regione a statuto speciale. Lo abbiamo raggiunto per avere un suo commento e capire meglio cosa c’è dietro un caso che è passato subito nel dimenticatoio della stampa nazionale.
C’è qualcosa che non torna nell’ultima versione di Miccichè?
Questa potrebbe essere una storia purtroppo assai frequente di soggetti che per divertirsi fanno uso di cocaina, anche se quello non è divertirsi, è morire… Ma il problema di questa storia è che riguarda un soggetto che è uomo delle istituzioni, ex presidente del parlamento siciliano, la seconda carica dopo il presidente della regione. Il fatto che una storia del genere lambisca un rappresentante delle istituzioni che, attenzione alla piroetta, fino a una settimana fa diceva di non fare uso di stupefacenti, e ora invece lo ammette (e anche qua: bisognerebbe avere il coraggio di assumersi le proprie responsabilità), conferma che avrebbe indirettamente alimentato il mercato gestito dalla criminalità organizzata. La battaglia che ho intrapreso contro Miccichè, fra l’altro da vicepresidente della commissione Antimafia nell’esercizio delle mie funzioni, è il tema dell’opportunità di un soggetto istituzionale che compra la cocaina, e non si può derubricare l’episodio dicendo “ma sì, tanto la cocaina gira” ecc. No, questo è un fatto dirimente: con soldi pubblici si alimenta il mercato di morte. Perché tutti sanno che a Palermo non si muove foglia che non voglia la mafia, proprio nella vendita della cocaina. Non a caso lo chef Di Ferro si rivolgeva a elementi vicini alla mafia. Questa storia insomma veramente male, se pensiamo che la droga veniva reperita usando l’auto blu, con tanto di lampeggiante sul tettuccio. Racconta il senso di impunità di questi soggetti nell’esercizio delle proprie funzioni.
Miccichè ha sottolineato che lui non la comprava.
Per carità, se lui dice così. Gliel’avrebbe regalata? Comunque, o la compri, o la regali, o te la prestano, è il primo business della criminalità organizzata. Ma io non attacco il Miccichè uomo. L’uomo Miccichè deve essere aiutato, dovrebbe curarsi. Questa è una piaga della nostra terra. A settecento metri dal parlamento esiste una piazza, Ballarò, dove ogni giorno decine e decine under 16 fanno uso di crack, la droga dei poveri, perché non si possono permettere la coca raffinata di cui fanno uso i potenti. La mia lotta alle droghe non nasce sull’onda di questo caso, ma almeno da dicembre, quando ancora non si parlava di queste vicende.
Miccichè non è indagato. Sulla base di cosa sarebbero doverose le dimissioni?
Sulla base della questione morale, che in questo Paese viene sempre all’ultimo perché si aspetta che una persona venga arrestata. Ora, io sono un garantista fino al midollo, ma nel momento in cui c’è una chiara ammissione da parte di un soggetto che era in un giro particolare dentro cui gravitavano soggetti legati alla criminalità organizzata. Ma lui, Miccichè, non lo sapeva che, comprata o regalata, inevitabilmente la droga la stava prendendo da flussi controllata dalle mafie? La domanda che faccio allora è: nell’esercizio delle sue funzioni quale sarà la bussola che lo guida? Io non mi fido di un soggetto che fa queste cose. Quando sono in ballo determinazioni importanti per la Sicilia, con quale criterio decide? Miccichè non è un uomo privato, è uomo delle istituzioni. A noi la gente chiede il rispetto delle regole perché rappresentiamo lo Stato. Lo ribadisco: Miccichè dovrebbe dimettersi, dovrebbe fare corsi di recupero e quando sarà completamente ripulito da questa macchia nessuno potrà dirgli nulla se ritornerà a fare politica.
Spieghiamo a un lettore non palermitano chi è Salvatore Salomone.
Uno di quei soggetti che già in passato sono stati raggiunti da operazioni di polizia per chiari ed evidenti contatti con il mondo delle mafie locali. Soggetti di mezzo che si occupavano di reperire la droga attraverso la criminalità organizzata. Quando facevo il giornalista e mi occupavo di voto di scambio, mi resi conto che purtroppo ci sono certi pezzi della politica che hanno a che fare con la criminalità organizzata. Tant’è che mi portò da un boss un ex consigliere comunale per comprare dei voti, io lo denunciai e lo feci arrestare, e venne fuori che quel boss era Gino Abbate detto Mitra che aveva anche un grande business di cocaina che veniva da Napoli, e fu arrestato anche lui. La mafia lavora in tutti gli ambiti della società. Ma la questione è che ogni giorno muoiono ragazzini di 14, 15, 16 anni.
A Palermo esiste, come d’altronde ovunque, una città-bene che fa uso di droghe pesanti?
Si è sempre pensato, si è sempre chiacchierato che lui ne facesse uso. Ma ripeto, non è una questione personale. Ma questa non è una storia da paparazzi, non stiamo parlando di modelli o tronisti. Sì, comunque si sa, è un problema diffuso in certi ambiente della borghesia palermitana. C’è gente che pensa che per vivere una vita migliore bisogna sballarsi.
Come ha reagito l’Ars alla sua proposta di far fare il test anti-droga ai parlamentari siciliani?
Questa proposta avvenne mesi fa. Ho accolto in parlamento il fratello di un ragazzo morto di crack che mi ha chiesto aiuto, e ho sostenuto che noi parlamentari potevamo occuparci del tema quando per primi noi quando per primi noi saremo al di sopra di ogni sospetto. La proposta è stata accolta da metà del parlamento, ovviamente a definire becera e populista l’iniziativa è stato guarda caso Miccichè. Toccavo un tasto particolarmente pericoloso. In questa vicenda la mia attenzione si è alzata più di tutte le volte in cui mi sono impegnato in inchieste da giornalista, perché so perfettamente che sto toccando dei tasti pericolosi per cui qualcuno me la farà pagare, anche se non so in che modo.
Il caso, uscito in prima pagina su molti giornali nazionali, è rifluito presto nella cronaca locale. Come giudica il trattamento mediatico della vicenda? C’è stata una corsa a non parlarne più? E perché?
Assolutamente, da Stato quasi totalitarista. Come se ci fosse stato un imput per non parlarne. In altri Paesi se ne parlerebbe in tutti i giornali. Il parlamento siciliano è il più antico del mondo. Com’è possibile che la stampa italiana abbia derubricato la vicenda a cronaca locale? Fra l’altro, ricordo che i fatti riguardano la notte della finanziaria, cioè quando, l’8 febbraio, l’Ars votava la legge più importante della regione, sui piccioli per intenderci. E la cocaina arrivava lì con le auto blu, questo è acclarato. Abbiamo fatto le 7 del mattino, forse qualcuno aveva bisogno di un aiutino… È roba degna di Pablo Escobar. Pochi giornali però ne hanno parlato. A Repubblica, nell’edizione di Palermo, va riconosciuto di averlo fatto.
Prima parlavamo di Palermo-bene. Ma il coprirsi a vicenda, sull’uso di stupefacenti, da parte di tutta la classe dirigente, media compresi per arrivare alla politica, non pone un problema di gigantesca ipocrisia dell’Italia-bene?
Io mi sarei aspettato che la Meloni facesse le barricate su questa storia. Perché è un tema suo, quello della lotta alle droghe. Perché non ha fatto una nota dicendo di sentirsi schifata? Fra qualche giorno fra l’altro lei verrà a Palermo per la commemorazione della strage di via D’Amelio. Si commemora Borsellino, e poi qualcuno nelle istituzioni si prende la cocaina? Un paradosso che rende tutta l’ipocrisia di una certa politica.
Un Paolo Borsellino che, ricordiamolo, è un simbolo proprio e soprattutto per la destra, in Sicilia e in tutta Italia.
Esatto.
Lei mi par di intuire che non sia favorevole alla legalizzazione delle droghe, quanto meno leggere.
No, non sono favorevole nella misura in cui si possa pensare che le droghe, anche quelle leggere, possano essere la risposta a un vuoto della nostra società. Soprattutto per i giovani. Sarei favorevole se si circoscrive.
In che senso?
Anzitutto, oltre i 18 anni, perché bisogna essere consapevoli di quel che si fa. Evitiamo di dire che le droghe leggere non fanno male. Fanno male. Eventualmente si fa un ragionamento con cui capire in quale macrosistema inserire questo problema, perché il mercato delle droghe anche leggere alimenta le casse della criminalità. Sono pronto al dialogo, a un dibattito sulle droghe leggere. Sulle pesanti, assolutamente no.
D’accordo, ma quanto alle leggere, bisognerebbe parlare allora anche dell’alcolismo, no?
Esattamente, alla stregua dell’alcolismo. Ma anche come il tabagismo, perché anche su questo c’è una grande ipocrisia da parte dello Stato. Sono pronto ad aprire un ragionamento su questo, perché riconosco che rimpingua le casse delle mafie e dello Stato, anche se in linea di massima resto contrario.