“Mio padre si tagliò un dito per mostrare la sua forza alle guardie giapponesi”: è uno dei passaggi più crudi e intensi del racconto di Dacia Maraini, ospite de La Confessione di Peter Gomez (in onda su Rai 3). La scrittrice ha ripercorso gli anni dell’infanzia vissuti nel campo di concentramento vicino Tokyo dove fu internata con la famiglia nel 1943, dopo il rifiuto del padre Fosco di aderire alla Repubblica di Salò: “Continuava a ripetere che non potevano trattarci come prigionieri politici perché eravamo solo bambine. Le guardie ci insultavano: ‘Traditori, vigliacchi, italiani!’”. Poi il gesto estremo: “Ha preso un’accetta e si è tagliato un dito. Conosceva la mentalità samurai: si chiama yubikiri, e se getti il dito al nemico, gli crei un obbligo nei tuoi confronti”. Dopo la guerra, il ritorno a Bagheria e il rammarico per l’occasione mancata: “In quel momento di povertà e sconvolgimento si poteva eliminare la mafia. L’alleanza tra americani e Cosa Nostra è stato un errore gravissimo. Pensavano di controllare il territorio, ma non ce l’hanno fatta”.

Dai ricordi familiari al pantheon culturale del Dopoguerra: Maraini ha evocato le frequentazioni con Moravia, Calvino, Sciascia, Bassani, Pasolini. Con Moravia ebbe una lunga relazione: “Mi aiutò a pubblicare La vacanza. Nessun altro aveva tempo, lui sì”. Non si è mai sentita “una che ruba i mariti”, ha precisato: “Erano separati in casa. Elsa Morante era innamorata di Visconti e di un pittore inglese”. Su Pasolini: “Con Maria Callas fu un amore tenero, ma platonico. Lui si diceva comunista, ma era un cristiano anarchico: parlava degli esclusi, ma non di lotta di classe”. E su Giorgia Meloni? “Il fatto che ci sia una donna a Palazzo Chigi è simbolicamente importante. Vuol dire che si può fare. Poi si giudica sulle decisioni”.


A condividere un pensiero sorprendentemente positivo sulla premier è anche Rocco Papaleo, ospite della stessa puntata: “Una donna brillante e intelligente. La stimo, anche se attorno a lei c’è un versante imbarazzante”. L’attore ha raccontato il suo approdo al mestiere: “Non avevo una vocazione chiara. Mio padre lavorava all’Ufficio delle Imposte e tornava ogni giorno con il mal di testa e una Cibalgina: per me quello era ‘il lavoro’. Preferii la musica, imparai la chitarra e scrivevo canzoni. Non pensavo che potesse diventare una professione”. Fu proprio una canzone, Torna a casa, foca, a farlo notare da Silvio Berlusconi, che lo volle nel programma Televiggiù. Da lì in poi la carriera decollò: “Giovanni Veronesi mi vide cantare su una terrazza e mi segnalò a Pieraccioni”. Su Favino: “Lo odio. È stato mandato sulla terra per farmi sentire un incapace”, ha detto ridendo. Divorziato, porta ancora la fede: “La metto a destra, per dire che sono su piazza”. E sul riarmo europeo voluto da Ursula von der Leyen: “No. Sono pacifista”.