Il Consiglio Europeo di ottobre è tornato ad approfondire il tema di un nuovo pacchetto di sanzioni alla Russia, che sarebbe il dodicesimo dall’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca, avvenuta nel febbraio 2022. E parallelamente all’emersione di nuovi strumenti per dissuadere Mosca dall’amplificare in inverno i suoi attacchi contro Kiev, essiccando le fonti di finanziamento della Russia e tagliando i legami con l’Occidente, è emersa una volta di più la questione dell’elusione delle sanzioni da parte della Federazione Russa.
Triangoli sul greggio
“No man is an island”, scriveva John Donne, e oggigiorno nessuna nazione nel mondo della globalizzazione lo è davvero. Tagliare fuori un Paese dai gangli dell’economia mondiale è qualcosa di decisamente complesso e per la Russia questo vale in modo particolare per la grande esposizione di Mosca e della sua economia in settori critici come quelli dell’energia. Certo, le sanzioni stanno colpendo la Russia attraverso la desaturazione del predominio russo nelle forniture di mercati come quello europeo. “Dall’inizio dell’invasione, le sanzioni petrolifere sono costate alla Russia 100 miliardi di dollari fino ad agosto”, ha scritto in un rapporto un gruppo di lavoro internazionale sulle sanzioni presso l’Università di Stanford. Ma Mosca riesce a aggirare il fronte critico del bando al passaggio di prodotti petroliferi verso Occidente in diversi modi.
Il primo è la triangolazione delle forniture attraverso India, Turchia, Cina e Emirati Arabi Uniti, Paesi che comprano prodotti petroliferi russi prezzati sul benchmark Urals, li raffinano o li miscelano e procedono in seguito a venderli sui mercati occidentali. Sul fronte del gas il canale ucraino Intellinews ricorda che “ l’accordo sulla fornitura di gas da 10 miliardi di metri cubi di forniture all’Ue che la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha firmato lo scorso luglio con il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev” è viziato dal fatto che Baku “sta importando gli stessi 10 miliardi di metri cubi dalla Russia per rifornire il suo mercato interno.
L’elusione del price cap sul petrolio
Ci sono poi le strategie volte a eludere il price cap a 60 dollari al barile promosse dal G7 contro il petrolio russo per le forniture che vedono mediatori legati al mondo occidentale. Mosca, ha rivelato “Le Monde” in un’inchiesta, avrebbe arruolato una flotta di vecchie petroliere clandestine che incrociano con quelle di compagnie occidentali negli oceani e condotto operazioni di trasbordo da una nave all'altra. Permettendo al petrolio russo di diventare, da un momento all’altro, pienamente europeo. Per dissuadere questa pratica il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha sanzionato due armatori , mentre le autorità britanniche stanno indagando sulle violazioni. Foreign Policy ha sottolineato che nel recente vertice Usa-Ue è “infuriato il dibattito su cosa fare con la politica, che impone un prezzo massimo di 60 dollari al barile per il petrolio russo esportato con l’assistenza di compagnie di navigazione o assicurazioni occidentali” ma non impone prescrizioni per la segnalazione del prezzo effettivo di vendita permettendo agli operatori di poter sempre dire di “non sapere” cosa stesse accadendo.
Ma non c’è solo l’energia al centro delle triangolazioni. Business Insider ha rivelato che le aziende russe che vogliono acquistare, sottobanco, armi da Paesi come Iran e Corea del Nord pagano o con contanti o con beni come oro e diamanti che poi sono dagli acquirenti venduti fuori dal territorio russo in valuta pregiata come i dollari usando società di comodo costituite in Kazakistan e Armenia. E le due repubbliche ex sovietiche sono, assieme al Kirghizistan, ponti di un commercio triangolare che vede dispositivi banditi dall’export dall’Occidente alla Russia, come elettronica, macchinari industriali e via dicendo, trasbordare nei loro confini per essere ripuliti.
Dall’Armenia alle Maldive, i triangoli di Mosca
In particolare l’Armenia ha segnato nel 2022 un tasso del +11% di crescita del Pil reale grazie all’acquisita posizione di cerniera di fatto con la Russia. Il Kirghizistan è una porta per manufatti occidentali acquistati da filiali di aziende legate a doppio filo a attori della Federazione Russa. Per fare un solo esempio, il commercio tra l’Italia e Biskek è cresciuto del 178 per cento nel 2022 e del 409 per cento nei primi sei mesi del 2023. Un boom che mostra come di fatto la ricerca di accessi al mercato russo da parte degli operatori occidentali sia ben lungi dal tramontare per le sanzioni. Quanto al Kazakistan, ha mantenuto un approccio equidistante tra Russia e Ucraina, orientato alla massima cautela, e di recente è stato oggetto di un investimento congiunto tra la turca Tezmaksan Robot Technologies e la tedesca Emag per un nuovo impianto per sistemi frenanti per l’automobile. A giusto due passi dalla Federazione Russa.
Last but not least, un alleato della Russia per bypassare le sanzioni è un Paese insospettabile come le Maldive. Che, nota Nikkei, avrebbe garantito nel 2023 la spedizione di 400mila lotti di microchip per un valore di 53 milioni di euro acquistati dagli Stati Uniti e diretti poi verso la Federazione Russa.
Aggiungiamo - ma non c’è conferma - che molti analisti hanno ipotizzato l’uso del criptoverso e di valute digitali per pagamenti sotterranei da parte della Russia. Questo argomento sarebbe da approfondire per capire se anche al di fuori dell’universo concreto degli scambi commerciali e della finanza la strategia elusiva di Mosca si stia concretizzando. Ma già con gli esempi citati il piatto è molto ricco: pacchetto di sanzioni dopo pacchetto di sanzioni, aumenta la pressione occidentale sull’economia russa. Ma anche la creatività di Mosca nel cercare sponde, legali o meno che siano, per sfuggire alla stretta sempre più forte di queste manovre economiche. Spesso con discreti risultati.