Su TikTok c’è un nuovo trend. E questa volta non c’entrano né balletti imbarazzanti né tutorial motivazionali travestiti da confessioni. Si parla di femminicidi. O meglio: del fatto che il proprio ragazzo non sia un femminicida. Sembra surreale da scrivere, eppure è tutto vero. Dopo le motivazioni della sentenza sull’omicidio di Giulia Cecchettin, dove si parla di “motivi vili e spregevoli”, “di arcaica sopraffazione”, di “lucida volontà di controllo”, ecco che parte la risposta social: decine di video in cui ragazze ringraziano pubblicamente il proprio fidanzato per il fatto che, banalmente, non le uccida. “In un mondo in cui gli uomini tolgono la vita alle donne, io ti ringrazio perché me ne hai date mille”. “Grazie perché con te mi sento viva, non in pericolo”. “Il mio uomo non è un mostro, ed è la cosa più bella che ho”. Le parole sono queste. Con il solito sfondo stucchevole da commedia sentimentale di serie B, che cerca di camuffare come romanticismo quella che è solo l’ennesima spettacolarizzazione di un tema tragico.

Video patinati, costruiti a tavolino con la freddezza di chi sa bene che l’algoritmo premia le emozioni, purché ben confezionate, dove si vedono coppie che si baciano al tramonto, camminano mano nella mano, si stringono tra palloncini rosa e luci soffuse, mentre in sottofondo parte la solita canzone strappacuore. Sì, insomma: in mezzo al dolore collettivo, si infilano come niente fosse filtri pastello, sorrisi a favore di camera e storytelling alla Nicholas Sparks. Un cortocircuito emotivo perfetto per fare numeri. Perché il problema non è il bisogno di sentirsi al sicuro. Il problema è spettacolarizzare la violenza, estetizzare il trauma, impacchettare tutto in una story da condividere con l’hashtag di tendenza. Il problema è trasformare un lutto in una dichiarazione d’amore pubblica, in barba a chi una figlia, una sorella, un’amica, non la riavrà mai più. Il messaggio, tra le righe, è questo: se il tuo compagno non ti minaccia, non ti ammazza, allora è speciale. Come se l’umanità fosse un bonus, e non la base.

Forse chi posta questi video lo fa in buona fede. Forse è solo una goffa forma di ignoranza. Ma la forma conta. E questa, di forma, ha tutto tranne che il rispetto. Il punto è: serve davvero anche questo a TikTok? Serve raccontare il privilegio di non essere morte con un tramonto, un reel e una frase da Pinterest? Se per parlare di femminicidio dobbiamo infilarci in un copione da romcom di bassa lega, allora sì: c’è qualcosa che non funziona, e non da adesso. Ma davvero, mi chiedo, è questa l’unica lingua che abbiamo imparato a parlare? Non si può combattere la banalità del male con la banalità dei contenuti. E il rispetto, quello vero, non ha bisogno di colonne sonore, filtri caldi e storytelling romantico. Ha bisogno di memoria, di coscienza, di pensiero. Trasformare un femminicidio in sfondo per dire “che fortuna avere un fidanzato che non mi uccide” non è consapevolezza: è solo un modo per non guardare davvero. Per coprire il dolore con il rumore.