In una recente intervista a Repubblica, l’attivista e finanziere Bill Browder, una delle voci più autorevoli nella denuncia delle violazioni dei diritti umani da parte del regime di Vladimir Putin (conosciuto soprattutto per la sua campagna in memoria di Sergei Magnitsky, il suo avvocato ucciso in un carcere russo), ha espresso preoccupazione per l’eccezionalità del caso italiano nella percezione della guerra in Ucraina. L’Italia, a suo dire, è uno dei paesi europei più esposti alla narrativa del Cremlino. Non si tratta solo della presenza, nei talk show, di figure ambigue che rilanciano posizioni filorusse senza contraddittorio: il vero problema è che la retorica antioccidentale e il culto di Putin hanno ormai attecchito anche nel discorso pubblico quotidiano. Secondo Browder, nonostante l’Ucraina sia il paese aggredito, in Italia molti cittadini tendono a guardare a Mosca con una sorprendente indulgenza. Putin viene percepito, da una parte dell’opinione pubblica, come un leader “forte”, “coerente” o addirittura “l’unico che si oppone all’ipocrisia dell’Occidente”. Una visione che altrove in Europa resta marginale, ma che in Italia gode di un’eco anomala, alimentata da anni di disinformazione e semplificazioni. Pur evitando di fare nomi, Browder è stato chiaro: gli italiani sanno benissimo chi sono i volti di questa ambiguità. La domanda che resta è perché continuino ad avere così tanto spazio.

Ma Bill Browder esagera? Siamo davvero così proni alla propaganda russa?
Bill Browder ha ragione: è arrivato il momento di liberare il dibattito pubblico italiano dall’inquinamento sistematico operato da chi, consapevolmente o meno, fa il gioco delle cosiddette democrature antioccidentali. Conosciamo fin troppo bene i personaggi che, da anni, frequentano i salotti televisivi italiani per diffondere narrazioni ambigue, se non apertamente ostili all’Occidente. Non serve fare nomi, li ascoltiamo quotidianamente. Il punto, semmai, è un altro: perché vengono regolarmente invitati senza contraddittorio? Perché le principali emittenti italiane scelgono di dare spazio a chi, in un momento storico così delicato, normalizza la propaganda di regimi autoritari? In un contesto internazionale in cui la Russia sta cercando di conquistare e annettere militarmente un paese europeo sovrano, come può il sistema mediatico italiano continuare a trattare queste posizioni come semplici “voci alternative”? Non si tratta di censura, ma di responsabilità. Serve maggiore consapevolezza editoriale e un dibattito pubblico che non confonda libertà di parola con cecità strategica. Perché in gioco non c’è solo la qualità dell’informazione, ma la tenuta stessa della nostra democrazia.

E allora, cosa fare?
Non si tratta di invocare la censura nei confronti delle posizioni antioccidentali: la democrazia, per sua natura, tollera anche le opinioni più estreme. Ma proprio per questo motivo, chi crede nei valori liberaldemocratici deve smettere di giocare in difesa. Serve più coraggio, più determinazione, più consapevolezza del fatto che la libertà non si difende da sola. Troppo spesso, nel dibattito pubblico italiano, le sensibilità liberali e democratiche appaiono timide, incerte, quasi intimidite. Cercano di mantenere una posizione moralmente superiore, di mostrarsi razionali di fronte al caos, ma questo approccio rischia di risultare sterile se non viene accompagnato da una narrazione forte, chiara e appassionata. Di fronte alla brutalità e all’aggressività della propaganda antioccidentale, amplificata da regimi come quello di Putin e rilanciata da influencer, opinionisti e politici compiacenti, limitarsi a difendere la democrazia come fosse un'ovvietà non basta più.
È tempo che gli europeisti, i liberali, gli amanti della democrazia escano allo scoperto con più determinazione. Non solo perché abbiamo dalla nostra parte i risultati concreti, l’Europa è più ricca, più inclusiva, più libera e più giusta, ma soprattutto perché abbiamo dalla nostra parte i principi. In democrazia, quando ci sono abusi, i colpevoli possono pagare. Nelle autocrazie, al contrario, l’impunità è sistemica. La libertà non è solo un valore astratto: è una prassi concreta fatta di diritti, responsabilità, alternanza e trasparenza. E tutto questo oggi è sotto attacco. Sta anche ai professionisti dell’informazione la responsabilità di dare maggiore spazio a chi difende con passione e lucidità i valori europei. Solo bilanciando il dibattito con voci coraggiose e autorevoli potremo contrastare efficacemente la disinformazione e rafforzare la consapevolezza civica necessaria a proteggere la nostra democrazia. Difendere l’Europa, quindi, non è solo un dovere civico: è una battaglia morale che va combattuta con coraggio, lucidità e orgoglio.
