I figli di Narges Mohammadi hanno ritirato oggi il premio Nobel per la Pace. La destinataria dell'onorificenza è in prigione, a causa delle sue battaglie umanitarie per i diritti delle donne e contro la pena di morte. Il contesto è fondamentale: secondo il rapporto stilato a maggio da Amnesty International, relativo al 2022, l'Iran era al secondo posto per numero di esecuzioni, preceduta soltanto dalla Cina. Con cifre ben più basse, ma in qualche modo significative per la nostra idea di Occidente, troviamo l'America al quinto posto, tra l'Egitto e il Sudan, con molte più condanne rispetto a stati come il Kuwait, la Somalia e il Sud Sudan. Gli Stati Uniti d'America, campioni di democrazia nel mondo, modello commerciale e politico della vecchia Europa che li ha partoriti. Loro, sì, quelli delle ciambelle e delle canzoni di Natale. Una esecuzione ce la regala anche il Giappone, del quale generalmente abbiamo una percezione di Paese estremamente progredito e maestro di civiltà. Sono gli stessi che riordinavano gli spogliatoi dopo le partite del mondiale, per capirci. Sì, loro, quelli che preparano quei deliziosi involtini di alghe e pesce crudo. È un problema di percezione. Non è forse vero che i valori liberali delle democrazie moderne sono fioriti in mezzo a quel romantico viavai di teste mozzate e usate come bocce da pétanque che fu la Rivoluzione francese? Non è curioso che il signor Guillotin fosse in realtà un filantropo, e la sua mannaia una “macchina umanitaria”? È un problema di percezione: la ghigliottina fu progettata per ridurre la sofferenza della pena capitale, e poco importa se anche la testa del suo inventore fu infilata a canestro con un tiro da tre che neanche Steph Curry. Qualche anno prima dell'invenzione della ghigliottina, qui in Italia Cesare Beccaria si era già espresso in maniera contraria alla pena di morte, proponendo che le pene fossero esemplarmente tali da scoraggiare il delitto, ma non al punto di far commettere un omicidio allo Stato. È un problema di percezione: il funzionamento, di per sé giusto, delle norme, si scontra contro la domanda più classica e altrettanto legittima. Perché ha fatto così pochi anni di galera, con quello che ha fatto? È bello capire al volo le cose, tagliare la testa al problema. È bello davvero? Oppure il semplicismo è la cristallina espressione culturale del populismo politico, il cui eroe è il termine medio, sbucato fuori dal capovolgimento degli esperimenti estremi del Novecento? Come diceva il mio illustre conterraneo Vittorio Alfieri, j'eròj a-j veulo vëdde, ma castrà, tradotto: gli eroi li vogliono vedere, ma castrati. Ma non mi si fraintenda: prima che la pena di morte, almeno in Occidente, venisse nascosta e resa indolore all'interno dei penitenziari, prima della fredda puntura essa era uno spettacolo teatrale, pubblico. Una experience, diremmo oggi. E se fosse un film, non sarebbe magari anche figo quel filmato del vecchio gioielliere che si trasforma in un Punisher spietato e dà la caccia ai rapinatori come se stesse inseguendo dei fagiani? Eppure, non c'è nulla di eroico, né di castrato, in tutta questa vicenda da videogame sparatutto. È chiaro che ci si trova di fronte a un accumulo di tragedie personali, da entrambe le parti, e voler semplificare per forza tutto con un “ha fatto bene” vuol dire soltanto fare politichetta elettorale e contemporaneamente strizzare l'occhio ai produttori di armi. Altrimenti portiamo il discorso fino in fondo, e facciamo davvero gli eroi, senza castrazioni, e reinseriamo la tortura nei programmi elettorali. Ah, no?
Il contesto è fondamentale, ed è anche un problema di percezione: il premio Nobel è stato assegnato “per la sua lotta contro l'oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e della libertà per tutte e tutti”. Qualcosa accomuna adesso Mario Roggero e la Mohammadi: a entrambi è stata negata la libertà. Ovviamente, il contesto e la percezione sono differenti. Però alla donna iraniana è stata tolta la libertà perché ne richiedeva, a sua volta, in un Paese in cui quelle che noi consideriamo libertà sono negate, da quella di opinione a quella di vestirsi un po' come ci pare, o come pare agli influencer. Al quasi pensionato italiano è stata tolta la libertà perché, in un Paese tendenzialmente libero, ha agito come se la propria libertà, anche se minacciata, fosse stata quella di sostituirsi alle leggi dello Stato, rinnegando lo Stato stesso. Quindi, in un gioco di controparti, chi invoca giustizia per Roggero invoca la pena di morte, e magari ne avrebbe una percezione diversa se venisse mandato a fare il gioielliere, o il politico, in Iran. Tutto è semplice, senza dolore, senza difficoltà, e la decapitazione del pensiero favorisce la decapitazione dei diritti, restaurando la monarchia assoluta e ovvia di ciò che potrebbe essere spiegato ma che rimane nascosto. Tutto questo, come diceva l'Alfieri nel libro XVIII della Tirannide a proposito della religione cattolica, riesce incompatibile quasi col viver libero. Semplice è anche la consegna dei Nobel, tranne per il fatto che ci permette di riflettere sul fatto che non abbiamo un'idea davvero chiara di civiltà.