Senza retorica, che non serve a nessuno, soprattutto a chi, come chi scrive, non ha mai guardato nel portafoglio di Stefano Feltri, ma che Appunti, la sua newsletter, sia a pagamento, non solo è giusto: è sacrosanto. Ecco perché. Stefano Feltri è uno dei migliori commentatori italiani; il termine è improprio e fa pensare a qualcosa che abbiamo imparato a odiare (soprattutto durante la pandemia), perché ci siamo convinti che di certe cose debbano parlare solo gli esperti, anche se non esiste un solo tema che sia di interesse pubblico e allo stesso tempo così semplice da far sì che a parlarne possa solo l’esperto di qualche cosa. Negli Stati Uniti per i commenti, quelli fatti bene, danno un Pulitzer. In Italia lo avrebbe vinto varie volte proprio Stefano Feltri. Collabora con varie testate e ha fondato il Domani, ma ora si è concentrato su Substack, una newsletter libera che ti permette di monetizzare ogni singolo articolo, o tramite abbonamenti il tuo lavoro più in generale. E in Italia ce ne sono poche ottime come quella di Feltri.
Qualche caratteristica fondamentale per una buona newsletter: gli articoli devono essere chiari, migliori di ciò che troveresti online tra i primi risultati di Google e utili, quindi devono fornirti delle informazioni o delle notizie. Nel caso dei commenti soprattutto informazioni (ma ce ne sono altre, per esempio quelle di Gleen Greenwald o Matt Taibbi, in cui a contare sono proprio le notizie). Appunti di Feltri ha tutto questo e qualcosa di più, perché se fai quello che fa lui in Italia, e cioè il giornalista, allora sei anche un’eccezione, una penna rara. Lo ha dimostrato nel caso del Giorno della Memoria. Pierluigi Battista invita a disertare la commemorazione, perché non avrebbe più senso visto l’antisemitismo dilagante post 7 ottobre 2023. Una provocazione che qualcuno ha accolto (e se volete capire quando una provocazione ha poco senso, provate a vedere se è stata accolta da Aldo Grasso). Poi c’è chi il 27 gennaio parla solo di Gaza, dei palestinesi, degli israeliani come nazisti e degli occidentali come devi complici. Mentre Donald Trump propone, da immobiliarista qual è, di drenare i gazawi in Egitto o altrove per poter costruire lungo la costa palestinese, mentre in Italia o sei un nazista perché odi Israele o sei un nazista perché lo appoggi, Stefano Feltri dà lezioni di giornalismo di opinione.
Guardate il ragionamento: la prima cosa che fa è chiedersi quando e chi ha istituito in Italia la Giornata della Memoria: nel 2000, tra i sostenitori c’era Furio Colombo, che oggi la gente elogia perché morto ma che raramente si sono fermati a leggere attentamente. Poi si chiede perché. Era già tutto nella proposta di legge, nelle sue motivazioni: la Giornata della Memoria non serve per ricordare la Shoah, ma per ricordarci di noi in quel periodo e dopo e, quindi, oggi. Chi siamo? Come ci poniamo di fronte a queste tragedie? E, soprattutto, come reagiamo? La polarizzazione politica che ha condizionato tutta la guerra iniziata il 7 ottobre 2023 (e anche chi scrive) è solo un altro modo per non reagire davvero come comunità, rendendo conto a quella provocazione – questa invece utilissima – lanciata da chi, ventiquattro anni fa, approvò questa giornata. Gli italiani non sanno ragionare di fronte a una tragedia? O sono omertosi o sono facinorosi? O son violenti o sono collaborazionisti? In una democrazia, che è una cosa raffinata, non c’è un’alternativa a queste due opzioni?
O Israele diventa “entità sionista” (che è il modo in cui veniva chiamata e viene chiamata dai gruppi terroristici) o Israele è un’entità impeccabile, perfetta, voluta così da Dio; in mezzo c’è – o ci dovrebbe essere – chi riconosce che una protesta pacifica contro Israele non è antisemitismo, ma che è antisemita degradare Israele a tal punto da non considerarlo uno Stato legittimo; chi non nega le atrocità di quest’ultimo anno, ma vede quello che Hamas ha fatto ai palestinesi e a Gaza (e cioè eliminare anche solo la possibilità di convivere in pace); chi sa fin dall’inizio che Netanyahu deve andarsene e doveva andarsene già prima, per via della riforma della giustizia, in milioni contro di lui nelle piazze israeliane prima di quell’ottobre maledetto; ma che sa anche che Netanyahu è al massimo una parte del problema e l’altra parte non è israeliana. Insomma, nel mezzo ci sono quei pochi come Stefano Feltri.
Ci sono altri pezzi, a pagamento, che dovreste leggere. Quello in cui Feltri spiega perché l’unica risposta possibile contro Trump, un uomo di una chiusura mentale talmente accentuata che si trasforma in un programma politico di chiusura e isolamento (vedi i dazi, i capricci imperialisti – o tutto è americano o non è – e così via), è un’apertura, una globalizzazione illuminata, che crei equilibrio economico ma anche geopolitico, che non alimenti la tensione. Un altro è quello sul caso Almasri, in cui non solo spiega tutto ciò che non torna (e perché, come abbiamo spiegato anche noi, la posta in gioco erano gli accordi con la Libia sui migranti), ma contestualizza le parole delle varie figure coinvolte, non si limite a copiare e incollarle. Parla Piantedosi? Cosa vuol dire questo rispetto a ciò che sappiamo dalle giustificazioni arrivate lato ministero della giustizia (e quindi Nordio) o lato servizi segreti (il falcon che riportato a casa il torturatore). Sa che è impossibile, come vorrebbero al Post, inebriarsi di quella che Eco definiva “ideologia del giornalismo moderno” (un’oggettività che per essere tale deve essere neutrale) e quindi sceglie di ragionare sulle cose, di non tirarsi indietro. Stefano Feltri fa quello che dovremmo fare tutti, soprattutto in un’epoca in cui le notizie nude le danno, false o vere che siano, i social. A cosa servono i giornali allora? A prendere “appunti”, a tirar fuori qualcosa in più.