La cronaca nera è sempre più centrale nel dibattito pubblico. I casi di cui si parla si moltiplicano, i dettagli diventano virali, i protagonisti delle indagini finiscono sotto i riflettori ancora prima che arrivi la sentenza. E in tutto questo la televisione e i social si rincorrono, alimentando l’interesse pubblico. Per capire meglio cosa sta succedendo abbiamo intervistato Marco Oliva, giornalista e conduttore di “Iceberg Lombardia” su Telelombardia che da anni racconta i principali fatti di cronaca nera in Italia. Con lui abbiamo parlato della semilibertà di Alberto Stasi, ma anche di possibili punti di contatto con Massimo Bossetti, dell’omicidio di Pierina Paganelli e delle sentenza per Filippo Turetta.

La cronaca nera è sempre stata di grande interesse non solo dei media, ma anche del pubblico. Adesso stiamo assistendo a un interesse crescente, secondo te perché? I social potrebbero aver amplificato l’interesse?
In televisione chi fa bene proprio il lavoro e chi racconta bene viene apprezzato e ha grande seguito. Sui social girano molto i contenuti televisivi perché, diciamoci la verità, o avviene qualcosa davanti a degli sconosciuti che intercettano risse o altro coi telefoni, altrimenti tutto quello che è davvero di contenuto arriva dalla televisione. Dal mio programma su Telelombardia ho messo sul mio TikTok o Instagram contenuti che hanno avuto riscontri importanti.
Per esempio?
Ero presente durante la sentenza di Alessia Pifferi, potevano assistere solo giornalisti, abbiamo fatto ascolti importanti su Telelombardia e il rilancio della sentenza su TikTok ha avuto quattro milioni e mezzo di visualizzazioni e centinaia di commenti. Stesso vale per Wanna Marchi col caso Lacerenza. Abbiamo cercato di intervistarla, abbiamo fatto un bel prodotto che ha avuto un ottimo riscontro televisivo e sui social abbiamo avuto più di mezzo milione di visualizzazioni, oltre al dibattito che si è creato. Questo per ribadire che i social vivono molto di quello che viene fatto in televisione.
Secondo te è stato “giusto” riaprire il caso di Garlasco?
Non ho gli elementi per dire se sia stato giusto o no riaprire l’indagine, perché non ho a disposizione tutto il lavoro che è stato fatto dalla procura fino a oggi. Resto in attesa di capire quali siano i reali elementi in mano alla procura, dopo tutto questo lungo periodo di indagine anche tradizionale, e in attesa dell’analisi del dna. I tecnici hanno posizioni diverse, da chi dice che il dna non è assolutamente leggibile a chi sostiene che non solo è leggibile, ma è certamente di Andrea Sempio. Io voglio la certezza che questo match venga fatto e che, una volta per tutte, venga detto o che questo è il suo dna o che non si può leggere. Da qui potremo iniziare a fare delle riflessioni.
Quali?
Provare a trovare una spiegazione credibile del perché sulle mani di Chiara Poggi ci fosse il dna di Sempio o fare dei ragionamenti per capire se c’è altro da andare a cercare. Io sono dubbioso che per la terza volta si vada a “colpire” la stessa persona. Mi auguro che sia stato fatto tutto con coscienza e rigore. Sinceramente se un domani questa indagine dovesse finire con un “ci dispiace” nei confronti di Sempio non mi starebbe bene. Ma sono certo che la procura abbia qualcosa di più, quindi staremo a vedere.

Cosa potrebbe succedere con la semilibertà di Alberto Stasi?
Spero che Stasi non si giochi la semilibertà per un’intervista. Avendo fatto questo percorso, che dal carcere viene descritto come esemplare, spero che conti quello piuttosto che un’irregolarità dell’ultima ora. Un autogol al novantesimo minuto sembra eccessivo, ecco. Se ha fatto bene e a regola in questi anni, e la legge lo consente, per quanto mi riguarda è giusto che abbia i diritti che gli spettano. Poi se mi chiedi se sono favorevole o no alla semilibertà in generale, io sono per la rieducazione. Penso a quei genitori che potrebbero ritrovarsi davanti Stasi al bar o al supermercato, penso al loro stato d’animo. Essendo un garantista sono convinto che la rieducazione sia necessaria. Poi uno può ragionare sulla tempistica. Qui è un discorso ampio, perché anche nel 2015, quando è stato scelto un rito che oggi non più adottabile, la condanna a 16 anni per omicidio ha fatto discutere.
Tu hai seguito, tra i tanti casi, anche quello di Yara Gambirasio. Il genetista che sta lavorando al dna per il caso di Garlasco è lo stesso, secondo te ci sono dei “punti in comune” tra Massimo Bossetti e Alberto Stasi?
Ne vedo pochi. Vero è che Massimo Bossetti mi ha scritto una lettera dal carcere, in cui mi ha detto che sta seguendo con molta attenzione il caso di Garlasco per la mediaticità che ha e mi ha scritto le seguenti parole: “Io come lui mi sento vittima di un’indagine fatta male, con una tesi precostituita di chi indagava e quindi allo stesso modo sono vittima del macchinario della giustizia che evidentemente non ha all’interno tutte persone meritevoli, tra giudici e investigatori”. Il sottotesto di Bossetti è a me hanno sempre negato di fare o rifare il test del dna, spero prima o poi, come sta accadendo per Stasi, di arrivare a un risultato simile. È evidente che il risultato di questa indagine possa essere fondamentale per imbastire un’ipotesi di revisione, visto che a Stasi due altre richieste sono state negate. Bossetti non ha mai chiesto la revisione, mira a quello ma prima dice voglio la possibilità di analizzare il dna, nella speranza di poter fare quello che oggi viene concesso ad Alberto Stasi e che, lui dice, a me hanno sempre negato.
Un altro caso attualissimo è quello di Giulia Cecchettin. In questi giorni si è lungamente dibattuto sulle 75 coltellate che non sono segno di “crudeltà”. Cosa pensi in merito alla sentenza per Turetta?
La questione della crudeltà ci ha sempre lasciato tutti quanti perplessi, ma per decine di casi. Abbiamo già raccontato nel corso degli ultimi anni casi di cronaca dove la crudeltà ai più sembra evidente e poi i giudici hanno detto che non c’era. Io faccio fatica in questo caso a non vederla.
Perché?
Non tanto per il numero delle coltellate, ma per la modalità dell’aggressione. Si dice che non c’è crudeltà, che era inesperto, ma il punto è un altro. L’aggressione con le coltellate è iniziata in un certo momento, poi lui l’ha trascinata in auto, forse è continuata in automobile, non si è capito se è morta subito o le ha dato altre coltellate. Credo che aggredire una ragazza, trascinarla in macchina ancora viva, darle altre coltellate, fugge non fugge, agonizzante o no, è quella la crudeltà: farla morire in mezzo a delle sofferenze che sicuramente avrà avuto, perché se la prima coltellata che dai è quella mortale e ne seguono altre, io non condivido, ma la normativa mi sembra sia questa, perché non ha inferto sofferenze. Ma qui come facciamo a dirlo? A me resta questa grande perplessità, ma in appello qualcosa potrebbe cambiare.

Cosa, secondo te?
Spero che la crudeltà venga contestata. Poi sull’ergastolo non cambia molto, ma di per sé questo aspetto potrebbe essere rivisto. Anche sullo stalking sono perplesso, perché è vero che forse Giulia non stava cambiando le sue abitudini per il pressing di questo ragazzo, ma più volte per telefono gli ha detto “mi fai paura”, “ho paura” e cose di questo genere. Se non aveva ancora cambiato le sue abitudini, poco mancava.
Hai parlato del carcere come “mezzo di riabilitazione”. Una volta che la pena è stata scontata, quando ti trovi di fronte alle vittime della vicenda, come vedi questo aspetto?
Io provo a vederlo dal punto di vista delle vittime, che tante volte vengono poco considerate. Un conto è scontare la pena per un determinato tipo di reati, quindi è più “facile” e più comprensibile accettare che ci sia una rieducazione, un conto è l’omicidio. È la cosa più difficile da accettare anche quando hai pagato e torni fuori dal carcere, e quando la pena è considerata bassa diventa tutto più critico. Poi, per quanto riguarda Garlasco, i genitori di Chiara Poggi sono sempre stati lungimiranti, moderati nelle parole, e diranno probabilmente che se tutto è stato fatto a regola che esca pure. Certo, probabilmente non avranno piacere a incontrarlo, ma non credo che pongano ostacoli a fronte di una normativa seguita come si deve. Non credo comunque faccia piacere a una vittima trovarsi un carnefice di fronte.
Credo che nessuno direbbe il contrario.
Ci sono stati però casi di famiglie lungimiranti che hanno voluto incontrare il carnefice, pacificarsi in qualche modo, anche se non sono così frequenti.
In ultimo volevo chiederti del caso Pierina Paganelli: ci sono queste testimonianze contraddittorie e quello che viene da chiedersi è se ci sia qualcuno di credibile in questa storia.
In questo caso una volta si diceva “il più pulito ha la rogna”, qui invece “il più sincero ha la rogna”. Per la procura Valeria Bartolucci è una persona inattendibile, pronta a mentire pur di salvare Louis Dassilva. Poi la Cassazione di recente ha detto che non è tutto da buttare quello che dice, quindi contraddice la procura. I consulenti oggi dicono che Manuela Bianchi ha fatto un percorso di maturazione tale per cui la sua sincerità è uscita adesso e quindi bisogna considerare il percorso che l’ha portata solo oggi alla verità, ma a me non convince. Se Valeria non è credibile per certe cose, io mi sento preso in giro anche da Manuela Bianchi, per tutto questo tempo in cui ha raccontato versioni che venivano aggiustate a seconda di quello che emergeva. In ultimo, adesso non ho capito se l’aggiustamento finale, ammesso che lo sia, viene propinato nel momento in cui sembrava quasi che Louis venisse scarcerato perché la prova della telecamera vacilla.
Questo cosa significa?
Louis chiede la scarcerazione quando la prova della telecamera vacilla e lei, invece che dare una mano al suo amato, gioca l’asso e tira fuori la versione bomba che lo incastra definitivamente e lo tiene in carcere. Gli ha messo il carico da novanta invece che liberarlo. Sinceramente faccio fatica a credere a tutti e non mi sento di perdonare Manuele che è arrivata adesso a raccontare la sua presunta verità, quando a noi raccontava quella precedente come verità.
