C’è stato un tempo in cui Matteo Renzi e Matteo Salvini avevano molto più del 30% di voti a testa (il Pd di Renzi oltre il 40% alle europee del 2014, la Lega di Salvini quasi il 35% a quelle del 2019). due predatori che si dividevano foreste di suffragi, uno col vestito sartoriale del riformista illuminato, l’altro con la felpa del padano ruspante. Ora in due faticherebbero ad arrivare al 10%, come due ex campioni di boxe che si ritrovano politicamente a mendicare un’esibizione su una rete minore fingendo che sia Netflix. Eppure, d’improvviso, eccoli di nuovo sovrapposti, come se la storia avesse deciso di divertirsi a fare collage con le loro facce: e ora sembrano contendersi gli stessi slogan, quelli salviniani. Uno scivolamento effimero, un social media manager distratto o un nuovo orizzonte comunicativo?
Il detonatore è stato un tweet di Renzi: “Leggo di due cittadini bengalesi che a Rimini avrebbero picchiato e drogato la figlia per costringerla ad accettare un matrimonio combinato. Voglio essere molto chiaro: TOLLERANZA ZERO per questi reati così odiosi. Questa non è ‘una diversa cultura’: questa è la negazione dei valori italiani. Spero che non ci sia nessun buonismo da parte di Istituzioni e Magistratura. E grazie ai Carabinieri per l’intervento come al solito efficace e puntuale”.
Tanto basta perché molti commentatori leggano non più Renzi ma un ventriloquo di Salvini: “tolleranza zero” (termine che richiama lo slogan newyorkesi di Rudy Giuliani, a sua volta non finito benissimo, e lui non solo dal punto di vista politico), “buonismo”, “valori italiani”, il ringraziamento alle forze dell’ordine. Manca il rosario, manca il selfie col crocifisso, manca la Nutella brandita come vangelo pop. Ma il tono è quello. E la rete lo sente, lo fiuta, e poi morde. “Sei diventato all’improvviso sovranista?” chiede qualcuno. “Salvini, esci da questo corpo!” twitta un altro.

Qui nasce la domanda: Renzi si è travestito da Salvini o Salvini ha hackerato Renzi? Perché c’è differenza. Il travestimento è scelta consapevole, è strategia da attore in moria di consensi che prova il ruolo del rivale a sua volta in fase discendente per rubargli il poco pubblico che gli è rimasto. L’hackeraggio invece è più inquietante: è quando un linguaggio ti colonizza senza che tu te ne accorga, ti installa nel cervello frasi prefabbricate, altrui, e tu le ripeti credendo siano tue.
Renzi, da tempo – come si diceva un tempo – “trasformista”, non è nuovo alle reincarnazioni. Da boy scout cattolico di provincia a rottamatore sorridente, da premier europeista a conferenziere di lusso in Arabia Saudita, fino a diventare il parlamentare che benedice le soluzioni di Trump e sconfessa i tic progressisti ma al tempo stesso difende Schlein e ritiene irrinunciabile il “campo largo”. L’uomo che predicava la modernità dei diritti universali oggi si aggrappa a parole come “valori italiani”. E mentre attacca il “buonismo”, il medesimo Renzi non ha avuto problemi a intessere rapporti d’affari con l’Arabia Saudita, Paese che con i valori italiani ha la stessa affinità che un deserto ha con un pendio innevato delle Dolomiti.
“Il mio amico MBS sta cambiando l’Arabia”, assicurava Renzi in un’intervista del 2023 al Corriere, dove MBS sarebbe il principe saudita Mohammed bin Salman. E qui il cortocircuito è totale: tolleranza zero coi bengalesi di Rimini, indulgenza apparentemente infinita e anzi ammirazione per un regime che – dicono le maldicenze dei cattivisti – parrebbe tollerare molto poco (anche fisicamente) oppositori e giornalisti, oltre a non essere proprio una culla dell’umanesimo occidentale (per quanto il Matteo toscano e senatore di Firenze avesse parlato pure di Rinascimento arabo) né nei diritti umani e in particolare delle donne o delle cosiddette minoranze.

E intanto la Leopolda, la sua creatura-pensatoio, quest’anno apre ai ministri del governo Piantedosi e Crosetto per parlare “della sicurezza, della criminalità giovanile e di come si serve lo Stato”, dice il leader di Italia Viva (se viva può considerarsi una formazione politica al 2%). E poi Trump. Già, The Donald. Perché Renzi, a proposito di Gaza, ha detto senza imbarazzi che “per aiutare i bambini di Gaza serve il piano di Trump, non le regate”. Un endorsement che suona come una bestemmia tra i fedeli della linea dem, e una bomba (o almeno un petardo) contro i pacifisti della Flotilla, anche in questo caso con una certa convergenza verso il campo che un tempo era largo, quello di Salvini.

Ci si chiede se Renzi non stia cercando di rubare l’elettorato dell’altro Matteo proprio mentre il Capitano è indebolito, impantanato tra processi, cali di consenso, mutazioni interne della Lega: prendere i resti di una bestia ferita e mangiarne la carne prima che lo faccia qualcun altro?
Oppure, al contrario, è Salvini che ha vinto anche senza vincere più quando si tratta di urne: ha imposto il proprio linguaggio a tal punto che persino i suoi nemici lo usano, lo interiorizzano, lo rilanciano. Il lessico del Capitano è diventato lingua franca, slang obbligato, come un virus che sopravvive al corpo che lo ospita. E allora Renzi sarebbe un rottamatore che si lascia rottamare dal linguaggio del populismo, senza nemmeno accorgersene?
Quel che è certo è che Renzi e Salvini, un tempo nemici giurati, ora sembrano recitare le stesse battute in uno spettacolo sempre più orfano di spettatori. Chi è chi?
