Vanni Oddera nasce a Savona nel 1980 ed è uno dei massimi esponenti del Freestyle Motocross al mondo. Ma nel 2009 decide di dare un senso a tutto quello che stava facendo condividendolo con gli altri, e da quel momento nasce la mototerapia. Ma che cos’è? Come mai serviva un disegno di legge su questo tema? E il merito dell’approvazione del disegno di legge alla Camera dei deputati di chi è? Lo abbiamo chiesto a Oddera, che ci spiega che cos’è la mototerapia: “Noi facciamo delle demo di freestyle motocross dedicati ai ragazzi disabili e dopodiché li portiamo in moto. Vedendoci volare i ragazzi prendono coraggio e, quando li portiamo in moto, salgono e per loro salire su una moto, dopo anni che magari stanno su una sedia a rotelle, è qualcosa di straordinario”. Ma quando ha capito Oddera che poteva diventare un bene per i bambini speciali? “Quando finì di saltare un ragazzino mi chiese se potesse salire in moto e da lì abbiamo provato per la prima volta. Quel bambino mi disse “che bello sentire il vento in faccia anche quando non c'è”. Da lì mi si è aperto un mondo”.
Vanni Oddera, è stata approvata alla Camera dei deputati la proposta di legge per il riconoscimento e la promozione della mototerapia. È una rivincita?
È un grande risultato, non tanto per il lavoro che abbiamo fatto in questi quattordici anni, ma perché questo riflette un vero e proprio cambiamento nella società. La mototerapia ha buttato giù un sacco di barriere e ha reso possibili in questi anni a tantissime persone che soffrono di disabilità delle cose straordinarie, mentre prima erano proibite.
Di chi è il merito a livello politico per questo grande passo in avanti?
Lo devo al ministro Alessandra Locatelli, della Lega, persona straordinaria che conosco da anni e quello che mi ha sempre impressionato di Alessandra è la sua grandissima umanità che ha con i ragazzi speciali. È venuta spesso nelle giornate che io organizzavo e ogni qualvolta io l'ho invitata è sempre venuto ed è sempre stato l'ultimo ad andare via. Restava sempre fino alla fine insieme ai ragazzi. Poi voglio dire grazie a tutti coloro che ci hanno creduto perché è un'iniziativa veramente bella, che non ha un colore politico.
Ci puoi spiegare bene in cosa consiste la mototerapia?
Vuol dire condividere la propria passione e il proprio tempo di qualità che ognuno di noi ha con le persone più fragili. Nel mio caso è la moto la mia passione e la mia qualità. Il mio tempo bello è la moto, per cui nel 2009 ho deciso di donarlo agli altri. Noi facciamo delle demo di freestyle motocross dedicati ai ragazzi disabili e dopodiché li portiamo in moto. Vedendoci volare i ragazzi prendono coraggio e, quando li portiamo in moto, salgono e per loro salire su una moto, dopo anni che magari stanno su una sedia a rotelle, è qualcosa di straordinario, è il raggiungimento della vittoria delle proprie paure e di un qualcosa che gli è sempre stato negato.
La fate anche con i pazienti oncologici?
Sì, e poi dal 2014 andiamo anche negli ospedali. Il primo ospedale che mi ha aperto le porte è stato il Gaslini di Genova. Andiamo nei reparti di oncologia, ematologia, trapianti del midollo. I reparti in cui la dura è la cruda realtà che si assaggia tutti i giorni fa perdere ai bimbi il loro diritto di essere bimbi.
Cosa succede quando entrate con la moto?
È un circo e si trasforma tutto.
Nel pratico quindi portate proprio una moto all'interno dell'ospedale?
Sì, portiamo le moto elettriche, che sono moto vere e proprie, potenti uguali ed entriamo nei reparti.
C'è una storia in particolare che ti ha colpito?
Quella che sicuramente mi è rimasta più impressa è quella del primo ragazzo che ho portato in moto. Quando io ho preso in mano l'idea della mototerapia era saltare non solo più per me ma anche per questi ragazzi; quindi, non avevo in mente di portare i bambini e i ragazzi disabili. Ma quando finì di saltare un ragazzino mi chiese se potesse salire in moto e da lì abbiamo provato per la prima volta. Quel bambino mi disse “che bello sentire il vento in faccia anche quando non c'è”. Da lì mi si è aperto un mondo.
Quali sono gli altri ospedali con cui collabori?
Con il Gaslini di Genova, con il Santa Margherita di Torino, poi il San Raffaele, il San Donato, poi ci sono gli ospedali di Trieste, siamo andati anche a Lodi. Sono diverse le strutture con cui lavoriamo.
Cosa ti aspetti dopo l'approvazione della Camera?
Non lo so neanch'io, so che adesso deve passare al Senato. Fare una legge sulla mototerapia serve a tutelarla e a prendersi cura di un bel progetto che per le famiglie e per i ragazzi disabili o con fragilità arrivi in modo gratuito e che non sia mai a pagamento. Poi chi vorrà fare mototerapia dovrà essere un pilota formato, seguire dei protocolli e soprattutto dovrà garantire la continuità di questo servizio come lo stiamo facendo noi da quattordici anni.
Quindi vuoi dire che c'è bisogno di stabilità e che questa è garantita dalla legge?
Sì. Servono i protocolli e fare tutta una serie di cose che rendano la mototerapia perpetua. Ultimamente è iniziata ad andare di moda e ho visto gruppi o persone che magari lo fanno una volta giusto per fare due foto. Non si può dare un sogno in mano a un ragazzo fragile e poi sparire.
Quali sono i protocolli di sicurezza che tutelano questi bambini?
Prima di tutto va fatto da persone formate, quindi dei piloti che sappiano andare bene in moto. Poi deve essere fatto in un'area circoscritta e chiusa al traffico, in cui nessuno può entrare. Poi vanno usate delle moto elettriche, così non c'è il problema che le persone si possano scottare. Il casco non si usa perché tante patologie non consentono che il casco venga messo. Siccome ci sono alcuni bimbi che lo possono portare e altri no, per evitare discriminazioni non lo può mettere nessuno. E anche perché quella volta che salgono in moto si godono l'esplosione di gioia senza il casco. Quando poi ci sono bambini autistici o con determinate patologie devi usare un certo linguaggio, comunicare, guardarli e fargli capire che tutto va bene.
Non usando il casco, dov'è che possono andare questi bambini?
In delle aree protette. Qui da noi facciamo le demo sportive agli eventi o nei fine settimana dedichiamo una parte della giornata alla mototerapia. Per cui siamo già in un'area chiusa, protetta e supervisionata, ovviamente sempre con la presenza del presidio medico.
Oggi ti senti un uomo nuovo?
Io mi sento sempre Vanni del paesino in cui abito, ma sento che c'è una speranza che questo paese cambi. Oggi è quello che sento e che spero. La voglia di cambiamento, di abbattere le discriminazioni e di poter aver tutto alla portata di tutti. Sento un buon cambiamento all'interno dell'aria, perché in questi quattordici anni ne ho viste di tutti i colori in Italia. Ho visto che quando viene scoperto un tumore a un bambino la famiglia viene travolta e hai tutti vicino, ma dopo un po’ di mesi capita che i bambini vengano isolati o che restino soli. So che è crudo da dire, ma è una cosa che ho visto con i miei occhi e che in tanti mi hanno raccontato. Per cui è bello ritrovarsi tutti insieme, ognuno con i propri problemi e riuscire a creare una community importante, grazie alla quale ci si ritrova negli eventi e ci si tiene in contatto.