Israele sta commettendo un genocidio? Ghali lo ha sostenuto a Sanremo, l’ex Pink Floyd Roger Waters lo sostiene da anni. Il Sud Africa ha accusato ufficialmente Israele di genocidio e l’Aja ha trovato elementi utili per proseguire nelle indagini ma senza chiedere un cessate il fuoco e, anzi, proponendo al governo israeliano alcune misure necessarie a evitare il genocidio. C’è chi parlando di genocidio pensa alle vittime naziste, ebree e non, identificando questo termine con Olocausto. C’è anche chi sostiene che il vero genocidio in corso sia quello ai danni del popolo ucraino. Santoro lo ha ricordato alla puntata del 12 marzo di Dimartedì, intervistato da Giovanni Floris. Liliana Segre, come riportato dal Corriere della Sera, nega che si possa utilizzare per qualsiasi orrore – perché questo è la guerra in Medio Oriente – la parola genocidio: “Adesso viene usata per parlare di qualunque cosa, di qualunque guerra, di qualunque battaglia, di qualunque presa di posizione. Mentre io l’ho conosciuta e per miracolo mi ha risparmiata”. Ma cosa si intende esattamente con il termine genocidio?
Origine del termine “genocidio”
Il termine è stato coniato dal giurista polacco di origini ebraiche Raphael Lemkin nel 1944 in un suo saggio, Axis Rule in Occupied Europe. La parola si riferiva direttamente ai crimini nazisti, tanto che durante il processo di Norimberga (1945-1946) verrà adottata per la prima volta in assoluto in sede pubblica. Con la risoluzione n. 96 dell’11 dicembre 1946 (voluta fortemente da Cuba, India e Panama, le Nazioni Unite definirono il genocidio “Crime under international law”. Espressione confermata il 9 dicembre del 1948 con la Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio. Il concetto era presente nelle discussioni durante la Seconda Guerra Mondiale di Lemkin, che invitava gli Stati a intervenire contro i nazisti: “Se donne bambini, ed anziani fossero assassinati ad un centinaio di chilometri da qui non correreste forse in loro aiuto? E allora perché dovreste reprimere il richiamo del vostro cuore, quando la distanza è di cinquemila chilometri invece di cento?” Una richiesta che abbiano sentito fortemente anche in relazione al conflitto ucraino. Nel suo libro, tuttavia, Lemkin darà una definizione specifica del termine, coniato a partire da “gens” (stirpe) e “cidio” (uccidere). Si trattava di un “piano coordinato di differenti azioni mirante alla distruzione dei fondamenti essenziali della vita di gruppi nazionali, con l’intento di annientarli”. In cui, quindi, si dava una connotazione precisa al tipo di massacro: l’obiettivo era annientare un popolo. Aggiungendo, sulla scorta proprio degli orrori nazisti, che si trattava di una “disintegrazione sociale e distruzione biologica del gruppo”.
Evoluzione del concetto di genocidio
In realtà nel corso degli anni il concetto di genocidio ha subito alcune trasformazioni in ambito di ricerca e il suo uso si è diffuso sempre di più, spesso anche in relazione a eventi che non hanno nessuna caratteristica specifica legata all’origine del termine (per esempio il bombardamento su Hiroshima e Nagasaki). La definizione originaria data dalle Nazioni Unite nel 1948 era questa: “Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: (a) uccisione di membri del gruppo; (b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo; (c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; (d) misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo; (e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo a un altro”. Questa definizione è stata allargata, contraddetta, corretta, e aggirata da moltissimi studiosi, che in un primo momento hanno cercato di inserire vari crimini di guerra sotto il termine ombrello del genocidio. Non tutte le violazioni dei diritti umani, per altro, costituiscono un genocidio effettivo. Per ovviare a questo problema, molti teorici hanno preferito coniare nuovi termini che condividono gli stessi presupposti ma applicati non a gruppi etnici (“etnocidio”, già in Lemkin, veniva usato come sinonimo di genocidio) ma a gruppi di persone definite in modo diverso. È il caso del termine femminicidio, coniato dalla criminologa Diana Russell nel 1992, ovvero l’uccisione sistematica delle donne in quanto donne: “Il concetto di femmicidio si estende al di là della definizione giuridica di assassinio e include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l'esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine”.
Quanti genocidi sono stati riconosciuti come tali?
Giudicare dei crimini di guerra come casi di genocidio è molto complesso e nel corso degli anni sono relativamente pochi i casi riconosciuti come tali. Oltre all’Olocausto, che in qualche modo è servito da premessa per la formulazione anche giuridica del concetto, i genocidi attualmente riconosciuti sono tre: il genocidio di Srebrenica (in cui morirono ottomila bosgnacchi nel luglio del 1995), il genocidio del Ruanda (che tra aprile e luglio del 1996 portò alla morte, secondo alcune stime, di un milione di persone) e il genocidio cambogiano (avvenuto tra il 1975 e il 1979 e che portò alla morte di un numero di persone che si aggira tre l’1,5 e i tre milioni). In tutti questi casi, per arrivare a una sentenza è stato necessario creare un tribunale speciale che valutasse le accuse e le prove. Nel caso della guerra in Boznia-Erzegovina, venne istituito il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, le cui sentenze portarono a quella definitiva del 2007 della Corte internazionale di giustizia. Nel secondo caso il Tribunale penale internazionale per il Ruanda e nel terzo caso il Tribunale speciale per la Cambogia.
Esiste un genocidio palestinese?
L’accusa contro Israele di genocidio è stata mossa in via ufficiale dal Sud Africa. Per configurarsi come tali, l’accusa deve sostenere che Israele abbia violato la Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio del 1948. La Corte internazionale di giustizia ha ritenuto “plausibili” alcuni dei punti dell’accusa ma non ha chiesto né un cessate il fuoco né una condanna contro Israele, poiché la fase di verifica delle informazioni non è stata ancora portata a termine. Attualmente, quindi, non esiste nessuna condanna a Israele per genocidio. Tuttavia, la stessa Corte internazionale, con l’ordinanza n. 192 del 26 gennaio 2024, ha scelto alcune misure che il governo israeliano deve rispettare per prevenire il genocidio (mentre si chiede anche a Hamas di rispettare il diritto internazionale e di rilasciare gli ostaggi israeliani). Come spiegato nell’ordinanza, i palestinesi “sembrano costituire un gruppo distintivo nazionale, etnico, razziale o religioso e quindi un gruppo protetto nel significato dell’Articolo II della Convenzione sul Genocidio”. Per questo le richieste vincolanti del dovrebbero essere rispettate. Sono cinque: l’esercito di Israele non deve violare la Convenzione sul genocidio, il ché comprende uccisioni massicce di civili e ostacoli imposti alle donne palestinesi che devono partorire; Israele dovrà punire i cittadini che incitano al genocidio; nella Striscia di Gaza dovranno essere garantiti, senza alcuna limitazione, gli aiuti umanitari; il governo israeliano dovrà impedire la distruzione di prove utili al processo; Israele dovrà presentarsi davanti alla Corte Internazionale per dimostrare di aver rispettato questi cinque punti. Tuttavia le accuse contro Israele continuano ad arrivare e i recenti casi, come la cosiddetta “strage degli aiuti”, sembrano dimostrare la violazione da parte di Israele. A questo si aggiunge una lettera aperta di dodici organizzazioni umanitarie israeliane, come riporta l’11 marzo il Guardian, in cui si sostiene che Israele abbia apertamente violato la sentenza provvisoria dell’Aia: “Come membri della società civile israeliana impegnati a favore dei diritti umani e dello stato di diritto, condanniamo il fatto che Israele finora non sia riuscito a modificare il suo comportamento basato sulle misure imposte dalla Corte internazionale di giustizia, così come il fatto che gli aiuti umanitari a Gaza sono diminuiti del 50% nel mese successivo alla sentenza”.