Tutti a dare la colpa a Daniela Santanchè, per quer pasticciaccio brutto di “Open to meraviglia”, la campagna per rilanciare l’immagine dell’Italia, che neanche partita ha rimediato già figuracce a catena. E si capisce: lei la ministra del Turismo (in quota Fratelli d’Italia), ergo sua è la firma politica di ogni attività pubblica nel suo ambito. Ma ad aver emesso il bando di gara per aggiudicarsi il lavoro è stato materialmente l’Enit, l’Agenzia Nazionale del Turismo che dal 26 novembre 2022 è guidata da un’altra donna dal piglio altrettanto altrettanto energico, che risponde al nome di Ivana Jelinic, per altro scelta dalla Santanchè e considerata quindi a lei vicinissima.
38 anni di origini croate, dalla sua agenzia di viaggio a Panicale, in provincia di Perugia, ha fatto carriera nell’associazionismo di settore, diventando consigliere camerale dell’Umbria nel 2015, presidente regionale di Fiavet (Federazione italiana associazioni imprese di viaggi e turismo) per assurgere poi, nel 2018, alla presidenza nazionale, in cui è stata rieletta per il secondo mandato anche grazie alla riuscita impresa di concludere il primo contratto nazionale collettivo di categoria delle agenzie di viaggio. Dal 2020 fa parte del consiglio d’amministrazione del Convention Bureau Italia, l’ente privato di promozione del meeting industry (come si dice con anglismo che non gradirebbero tutti, nel governo Meloni).
La Jelinic è subentrata a Roberta Garibaldi, che era stata nominata appena un anno prima, nell’ottobre 2021. Professoressa di management del turismo all’università di Bergamo, la Garibaldi aveva un curriculum fitto di ricerche e pubblicazioni in materia, specializzandosi in particolare nel turismo enogastronomico, anche come curatrice del Rapporto Annuale sul Turismo Enogastronomico Italiano. A designarla era stato il predecessore della Santanchè, il leghista Massimo Garavaglia, il quale però, appena tre mesi e 21 giorni prima, aveva nominato un altro, Giuseppe Albeggiani, esperto di marketing multietnico con la sua azienda appositamente dedicata. Albeggiani se l’era comprensibilmente presa parecchio e aveva fatto ricorso al Consiglio di Stato, vincendo e ottenendo un risarcimento. Sotto Garavaglia, ministro del governo Draghi, l’Enit insomma aveva passato un periodo che definire burrascoso è poco.
La Santanchè vorrebbe trasformare l’Agenzia in società per azioni, e probabilmente aver piazzato un’imprenditrice è coerente con il suo disegno. Certo, bisogna stare attenti agli interessi in gioco, quando a gestire risorse dello Stato sono persone che provengono dal privato. L’Enit ha un budget globale di 30 milioni annui, e la sua macchina organizzativa, che conta 50 dipendenti, costa quasi 3 milioni. Il Pnrr destina al solo sito Italia.it una finanziamento da capogiro: 114 milioni. E sempre per stare alle cifre, la contestata campagna con la Venere-influencer (“roba da Chiara Ferragni”, Sgarbi dixit) elaborata dall’agenzia di comunicazione Armando Testa, avrebbe avuto un costo di ben 9 milioni di euro. Al Fatto Quotidiano, Enit ha spiegato di aver pagato la Armando Testa, in realtà, 138 mila euro per la “creatività”. I 9 milioni erano stati stanziati per un bando diretto a migliorare “l’attrattività del Sistema Paese”, con la previsione di decine di progetti. Il che autorizza a pensare che la gran parte dei fondi sia ancora inutilizzato.
Nel frattempo, la sfilza di errori tragicomici infilati qua e là in “Open to meraviglia”, al di là della discutibile scelta iconica di una Venere botticelliana manomessa secondo i più vieti stereotipi sull’Italia pizza&mandolino, si è allungata negli ultimi giorni. Messo agli atti il caso, sollevato da Selvaggia Lucarelli, del video-messaggio, girato da un regista olandese per una piattaforma israeliana, con un vino che in realtà è vino sloveno e le cui immagini sono state effettuate in Slovenia, o la traduzione automatica dall'inglese dei nomi di città (per cui Brindisi è diventata "Toast"), da segnalare c’è almeno un altro paio di gustose castronerie, sul portale Italia.it. "Tappa irrinunciabile in Piazza San Marco è il museo Correr”, si legge. Peccato che la foto in questione, scattata a Venezia, non sia il Correr ma il Palazzo Ducale e la biblioteca Marciana. A Vicenza, invece, il Teatro Olimpico, capolavoro assoluto di Andrea Palladio, si affaccerebbe “sulla suggestiva piazza dei Signori”, mentre nella realtà si trova in piazza Matteotti, e, sempre secondo i certosini estensori delle descrizioni, l’autore, il Palladio, sarebbe riuscito “a vederlo completato prima della sua morte”, avvenuta nell’agosto del 1580, anno, invece, della posa della prima pietra. Complimenti.