Uno degli ultimi post pubblicati su Facebook da Alessandro Orsini ha scatenato mille polemiche. Il professore ha scritto, tra le altre cose, che esisterebbero “dittature che non uccidono nessuno” e “democrazie che compiono massacri”. Ha quindi implicitamente paragonato Stati Uniti e Israele, “democrazie occidentali”, alla Corea del Nord, una “dittatura” che “non sta sterminando nessuno”. Che cosa voleva dire Orsini? Ha senso paragonare un Paese sui generis come la Repubblica Popolare Democratica di Corea con Washington e Tel Aviv? Spoiler: sì. Ma solo nel caso in cui il confronto abbia un intento polemico.
La Corea del nord non adotta metodi in linea con buen vivir occidentale
“Ci sono dittature che non uccidono nessuno e democrazie che compiono massacri”. Per capire veramente il significato dell’ultimo post pubblicato da Alessandro Orsini sulla propria pagina Facebook, bisogna partire da questo estratto. E poi leggere l’intero commento più e più volte. Fermarsi a riflettere su ogni singola frase. A quel punto, soltanto in un secondo momento, unire tutti i puntini e decifrare il disegno che sarà comparso sotto ai vostri occhi.
No, non abbiamo alcuna intenzione di fare gli avvocati di Orsini, né fornirgli un ombrello con il quale coprirsi dalla pioggia di polemiche che ha attirato per l’ennesima volta diffondendo una sua analisi all’interno del calderone chiamato opinione pubblica. Con il presente articolo desideriamo analizzare il messaggio uscito dalla tastiera del professore più chiacchierato del momento. Messaggio che la maggior parte delle persone ha sintetizzato in un: “Orsini ha detto che la Corea del Nord è migliore di Stati Uniti e Israele, e che lì nessuno uccide le persone”. In realtà, l’accademico ha semplicemente voluto accendere i riflettori sull’ “idea senza alcun fondamento empirico secondo cui le democrazie occidentali sono sempre migliori delle dittature” nonché sul fatto che “gli intellettuali occidentali hanno elaborato molte strategie cognitive per preservare la credenza che l’Occidente sia una civiltà superiore”. L’Occidente, in sostanza, non sarebbe per forza migliore del resto del pianeta soltanto perché si chiama Occidente. Il punto è che il prof ha citato Usa, Corea del Nord e Gaza. Vale dunque la pena cogliere la palla al balzo e approfondire qual è la situazione oltre il 38esimo parallelo: in Corea del Nord, appunto.
La situazione può essere analizzata indossando due lenti differenti: quelle occidentali e quelle accademiche. Adottando le prime ci troviamo al cospetto di un Paese che adotta metodi e forme politiche incompatibili con i pilastri del buen vivir di stampo occidentale: libertà di parola, di espressione, diritti umani e via dicendo. Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC), non a caso, ha adottato una risoluzione che garantisce un controllo continuo sull’ “atroce situazione dei diritti umani” in Corea del Nord. Dove non sono ammesse pratiche da noi considerate normali, quali la dissidenza politica e l’individualismo a discapito della comunità.
Ci sono poi le lenti accademiche, indossate da chi non intende esprimere giudizi valoriali ma semplicemente capire cosa succede nel Paese governato da Kim Jong Un. Queste persone, per lo più accademici e analisti, con l’eccezione di qualche giornalista (compreso il sottoscritto), sono interessate a studiare processi socio-culturali e politici in maniera fredda, a-valutativa, asettica. Non per forza devono esaltare o denigrare la Corea del Nord, in questo caso il loro oggetto di ricerca. Proprio come un medico del pronto soccorso ha il dovere di curare qualsiasi paziente transiti nel suo reparto, indipendentemente dal fatto che la persona in fin di vita sia un ladro o un criminale, allo stesso modo l’accademico analizza gli oggetti di ricerca con la stessa distanza emotiva del dottore. Altri saranno incaricati di dare giudizi o assegnare etichette di colpevolezza.
La Corea del Nord è dunque migliore dell’Occidente? È un confronto che ha poco senso. È ovvio che per qualsiasi occidentale, nato e vissuto in Europa o negli Usa, prendere in considerazione di fare altrettanto all’ombra della Kim Il Sung Square sia fuori da ogni logica. Attenzione: a differenza di quanto non si possa pensare in alcuni casi potrebbe valere anche nel caso contrario. Le élite nordcoreane, le famiglie degli alti funzionari, chi abita a Pyongyang: queste persone non vivono in maniera dissimile rispetto a tanti loro omologhi europei (fatto salvo che, come detto, vivono in un Paese dove vigono leggi e concezioni agli antipodi rispetto all’Occidente).
Sono spesso filtrate voci di esecuzioni a danno di civili che hanno infranto determinate leggi
È vero che la Corea del Nord “non sta sterminando nessuno”, come ha affermato Orsini? Lo scorso giugno la Bbc sarebbe riuscita ad intervistare alcuni cittadini nordcoreane, le quali avrebbero descritto una situazione delicatissima, tra penuria di cibo e povertà, una situazione esplosa in seguito alla pandemia di Covid-19. Quando Pyongyang ha sigillato i suoi confini. Secondo i dati diffusi dal governo sudcoreano, prima dell’emergenza sanitaria globale ogni anno più di 1.000 persone fuggivano dal Paese, attraversando il fiume Yalu per raggiungere la Cina. Adesso non sarebbe più così. Al netto delle storie spesso raccolte dai media occidentali per denigrare la Corea del Nord, sembra davvero che il Paese asiatico abbia trascorso mesi difficilissimi. Ma quanto, tutto questo, è ascrivibile ad un piano ideato appositamente dal governo per uccidere i suoi cittadini? In assenza di prove concrete capaci di confermarlo, non resta che proseguire nella nostra analisi.
Allo stesso tempo dal Nord sono spesso filtrate voci di esecuzioni a danno di civili che hanno infranto determinate leggi e dissidenti (impossibile quantificare il numero esatto), ma, almeno per adesso, Kim non ha volutamente sterminato alcun popolo straniero (a differenza, sottinteso, di altri Paesi occidentali o partner dell’Occidente). È forse questo il senso contenuto nelle frasi di Orsini. Certo è che Facebook non ha limiti di spazio e che il professore avrebbe potuto spendere qualche parola in più per spiegarsi meglio. E limitare le solite polemiche.