L’incontro, a settembre, con Vladimir Putin per organizzare il possibile invio di armamenti nordcoreani in Russia in cambio di know-how tecnologico e risorse alimentari. Il lancio in orbita, due mesi più tardi, di un satellite spia per monitorare le forze nemiche e immortalare obiettivi sensibili. Il massiccio utilizzo della retorica militare, che ha incluso sia l’ordine impartito all’esercito di accelerare preparativi bellici sia molteplici minacce rivolte contro gli Stati Uniti. La Corea del Sud etichettata come un Paese ostile, nonché principale nemico, nel discorso presidenziale di fine anno. Quindi, a cavallo dell’Epifania, tre giorni di esercitazione a fuoco vivo in prossimità del confine marittimo con Seoul, accompagnate da quasi 300 proiettili di artiglieria sparati nei pressi delle isole sudcoreane di Baengnyeong e Yeonpyeong (per la cronaca evacuate dall’esercito del Sud che ha risposto sparando a sua volta con i suoi temibili obici K9). Questa è una breve sintesi delle ultime gesta di Kim Jong Un, leader della Corea del Nord pronto a ritagliarsi un ruolo da protagonista assoluto in un 2024. Il Grande Leader, archiviata l’ombra della pandemia di Covid-19, è tornato in prima linea con diversi jolly da giocare e una strategia ben precisa da attuare. La stessa che potrebbe addirittura variare “grazie” alle elezioni di Taiwan, visto che le urne dell’isola rivendicata dalla Cina hanno premiato William Lai, candidato del Partito democratico progressista (Dpp) al potere, anticomunista e desideroso di mantenere l’indipendenza di Taipei da Pechino. Ma che c’entra tutto questo con la Corea del Nord? Un eventuale conflitto nello Stretto di Taiwan tra gli Usa e la Repubblica Popolare Cinese – da non escludere visto la vittoria dell’anti Cina Lai – potrebbe offrire al Kim l’assist per effettuare il grande passo: attaccare la Corea del Sud.
I protettori di Kim
No, a differenza di quanto non si possa pensare Kim non ha alcuna intenzione di lanciarsi in un’offensiva suicida oltre il trentottesimo parallelo, il confine che separa le due Coree ancora tecnicamente in guerra tra loro. Il presidente nordcoreano sa bene di non avere né mezzi adeguati né possibilità di reggere all’onda d’urto di un impatto diretto contro gli eserciti sudcoreani e statunitensi, che in caso di conflitto riceverebbero il supporto da Giappone e altri partner asiatici (e non). Al contrario, il presidentissimo del Nord sembrerebbe essere intenzionato a mettere in atto un piano d’azione in due fasi. Nella prima, ormai terminata, la Corea del Nord ha incassato il supporto assoluto di due importanti protettori: la Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping. Con Putin, come detto, Kim ha avuto un incontro molto fruttuoso, almeno a giudicare dai resoconti forniti dai media nordcoreani. Un incontro presumibilmente servito per consentire a Mosca di ricevere dal Nord nuove armi da impiegare in Ucraina e a Pyongyang di incassare dal Cremlino il sostegno necessario per sviluppare il proprio apparato militare, oltre a beni alimentari e altri prodotti d’uso quotidiano. Diverso il discorso relativo alla Cina, che a differenza della Federazione Russa è parte integrante del commercio globale e non intende compromettere la propria immagine alla luce del sole andando contro la comunità internazionale. Dietro le quinte Pechino ha però sempre sostenuto il Paese dei Kim, ad eccezione del periodo pandemico, quando il Nord si è isolato dal mondo (il commercio bilaterale tra Cina e Nord Corea è crollato del 90% tra il 2019 e il 2021 a 318 milioni di dollari). Come se non bastasse, nel 1961 Pechino e Pyongyang hanno firmato il Trattato di mutuo soccorso e cooperazione sino-coreano, un trattato militare rinnovato nel 2021 secondo il quale, nel caso in cui “una delle parti contraenti dovesse essere oggetto dell’attacco armato da parte di uno o più Stati, ed essere coinvolta in uno stato di guerra, l’altra Parte contraente le fornirà immediatamente assistenza militare e di altro tipo con tutti i mezzi a sua disposizione” (articolo 7 dello stesso accordo). Una volta sicuro di avere dietro di sé il sostegno di Putin, e sopra la testa l’ombrello di Xi, Kim passerà alla fase due del piano: aumentare la tensione nella penisola coreana, procedere con il rafforzamento militare e sfruttare eventuali passi falsi nemici.
La strategia multi-fronte
Come detto, difficilmente Kim sferrerà un attacco diretto rivolto contro la Corea del Sud o gli Usa. Potrebbe farlo soltanto qualora la situazione tra Cina e Stati Uniti dovesse precipitare, e nel caso in cui Washington dovesse essere coinvolta con una guerra aperta con Pechino. In assenza di simili evenienze, la Corea del Nord attenderà con interesse le prossime elezioni presidenziali statunitensi, quando le urne, il prossimo novembre, potrebbero consegnare a Donald Trump le chiavi della Casa Bianca. Con Trump, il suo vecchio “amico” (i due si sono incontrati tre volte quando The Donald era presidente degli Usa), Kim sarebbe pronto a riprendere i negoziati naufragati nel 2019. In attesa di un evento non certo né scontato, Pyongyang è scesa indirettamente in campo per fiaccare Washington alimentando il fuoco delle due principali crisi estere nelle quali è coinvolta l’amministrazione guidata da Joe Biden. Da un lato, infatti, il Nord avrebbe iniziato a spedire missili e armamenti alla Russia, che a sua volta li ha utilizzati per colpire l’Ucraina sostenuta dal blocco occidentale, Casa Bianca in primis; dall’altro pare che i nordcoreani abbiano inviato materiale militare anche ad Hamas, protagonista del conflitto contro Israele – altro partner Usa – che sta lentamente incendiando il Medio Oriente. La strategia multi-fronte del guastatore Kim potrebbe, nella migliore delle ipotesi, influenzare il corso degli eventi, favorendo la vittoria di Trump alle prossime elezioni e accelerando la ripresa di un complesso negoziato Usa-Nord Corea. Nella peggiore, invece, il Grande Leader si accontenterebbe di aver contribuito a sostenere i nemici di Washington. In attesa di guadagnare tempo e rafforzarsi in vista di un ipotetico scontro diretto. Al momento ancora lontano ma presto presumibilmente inevitabile.