Per sapere qualcosa di più di ciò che è accaduto a Garlasco, a casa di Chiara Poggi, il 13 agosto del 2007 bisogna attendere. Gli investigatori valuteranno se il nuovo indagato, Andrea Sempio, è davvero coinvolto, oppure se ci sono altre piste da tenere in considerazione. Per Daniele Capezzone, però, dalla riapertura del caso si possono sviluppare alcuni ragionamenti che riguardano anche la politica. Due considerazioni in particolare: “La prima ha a che fare con il necessario rilancio della responsabilità civile dei magistrati, già votata (anzi, stravotata) dagli italiani nel referendum voluto da Enzo Tortora e Marco Pannella nel 1987, ma poi - in Parlamento - attenuata, per non dire annullata”. In quell’occasione “l’80% degli elettori chiesero infatti la responsabilità civile diretta del magistrato che avesse agito con dolo (cioè con cattiva intenzione) o con colpa grave (cioè con grave negligenza, imperizia, imprudenza), ma la legge Vassalli, approvata dopo il plebiscito referendario, tradi la sostanza della volontà popolare, introducendo solo una pallida responsabilità indiretta: il cittadino deve fare causa allo Stato che poi (forse, quindi praticamente mai) si rivale entro certi limiti sul magistrato”. Anni dopo, nel 2021-2022, Matteo Salvini e la Lega e il Partito Radicale provarono a riaprire la questione. Poi “una decisione sconcertante della Corte Costituzionale decise l'inammissibilità del quesito”, prosegue Capezzone, “Mi auguro davvero che, nell'ambito della sempre più necessaria riforma della giustizia (che in questa legislatura sta finalmente avanzando), ci sia spazio anche per un confronto su questa specifica questione, su cui il consenso dei cittadini è stato ed è enorme”. C’è però un altro punto che il giornalista di Libero evidenzia: “La seconda considerazione - se possibile ancora più inquietante - ha a che fare con la prassi bestiale del ‘processo mediatico’, a cui tutti ci siamo abituati e piegati. Diciamolo chiaramente: prim’ancora di una condanna in un'aula di tribunale, il malcapitato di turno - una volta sotto accusa - si ritrova già ad essere ‘mostro conclamato’ per il trattamento mediatico che riceve”. E ancora: “Diciamocelo chiaramente: questo meccanismo infernale illustra un rapporto ormai trentennale tra procure e organi di informazione, il legame tra chi è in possesso di notizie ultrasensibili e chi può pubblicarle, con uno ‘scambio’ che ha queste caratteristiche: zero fatica (basta il copia e incolla), alto rendimento, immunità sul piano legale”.

A farne le conseguenze, dice sempre Daniele Capezzone su Libero, è lo “sventurato che si trova ad essere accusato”. “Non giriamoci intorno: se un'indagine dura mesi e mesi prima del processo, e se - in tutta quella fase - circola una sola versione, peraltro dotata di una potenza suggestiva enorme, il diritto alla difesa risulta distrutto nella sostanza prim’ancora che il percorso giudiziario inizi, cioè prim’ancora che gli avvocati possano toccare palla. L'accusato è completamente solo e nudo contro procure e media. E ovviamente ha già perso, anzi è già morto”. Capezzone ricorda un dato derivato da una ricerca dell’Unione delle Camere Penali: durante la fase delle indagini, la difesa ha il 2% dello spazio. “Questa situazione è insostenibile. Sarà bene che i media ricordino che i poteri da sottoporre al vaglio critico non sono solo due, cioè l'esecutivo e il legislativo, ma che pure l'attività dell'ordine giudiziario dovrebbe essere adeguatamente scrutinata. E anche l'opinione pubblica deve allenarsi a dubitare: oggi esiste solo il ‘mercato della colpevolezza’. Occorre che alcuni coraggiosi aprano - per così dire - il ‘mercato del dubbio’”. Inevitabile non vedere l’azione dei social in questo senso. Infine, Capezzone chiude con una domanda: “Che aspettiamo ad accorgerci di essere su una china pericolosa?”.
