Il 7 agosto 2019, nel cuore di Roma, Fabrizio Piscitelli, per tutti Diabolik, veniva ucciso con un solo colpo di pistola alla testa. Era seduto su una panchina al Parco degli Acquedotti, come se stesse aspettando qualcuno. L’assassino, vestito da runner, si era avvicinato alle spalle. Un’esecuzione. Silenziosa, fulminea, chirurgica. Da quel momento, il caso Diabolik è diventato uno dei simboli più inquietanti della commistione tra ultras, criminalità organizzata e traffico internazionale di droga. Dietro quel soprannome da fumetto si nascondeva un personaggio reale e potentissimo. Leader indiscusso degli Irriducibili della Lazio, Piscitelli non era soltanto il volto di una curva estrema, ma secondo numerosi atti d’indagine era diventato un mediatore tra clan, un trafficante, una figura centrale nel narcotraffico romano, in contatto con camorra, ’ndrangheta, albanesi, sudamericani e gruppi emergenti della nuova mala della capitale.

Aveva 53 anni, una lunga carriera nei circuiti dell’estrema destra militante e del tifo radicale, e da tempo, secondo gli investigatori, si muoveva tra i quartieri dell’alta criminalità con l’ambizione di controllare e pacificare le rotte della droga, almeno tra Ponte Milvio, Ostia e i Castelli. Ma qualcuno ha deciso che Diabolik doveva sparire. Per sempre. Due anni dopo, nel 2021, finisce in manette Raul Esteban Calderon, argentino, accusato di essere l’esecutore materiale dell’omicidio. Calderon viene poi condannato all’ergastolo, ma il caso, tutt’altro che chiuso, continua ad allargarsi. Perché è evidente che dietro un omicidio così clamoroso non ci sia solo una mano, ma un intero sistema. E mandanti ancora nell’ombra. Secondo la procura, i fratelli Enrico e Leandro Bennato, rivali della “batteria” di Piscitelli, sarebbero tra i principali sospettati. Il contesto è quello delle faide sotterranee tra bande che negli anni hanno cercato di controllare il business dello spaccio in città. E Diabolik, con il suo passato da ultrà e il suo presente da uomo di raccordo, era diventato una figura troppo ingombrante, troppo mediatica, troppo decisiva.

È questa la storia al centro della puntata d’esordio di “Un giorno in Pretura”, in onda questa sera alle 21.20 su Rai 3. Il programma, ideato e condotto da Roberta Petrelluzzi, torna con un nuovo ciclo di episodi portando il pubblico dentro l’aula del processo per uno dei delitti più emblematici degli ultimi anni. Una cronaca giudiziaria che diventa racconto sociale, ritratto senza filtri di un sistema in cui lo stadio è solo la porta d’ingresso di un sottobosco criminale che si muove tra violenza, ideologia e milioni di euro in cocaina. Il caso Diabolik non è solo una storia di pallottole e regolamenti di conti: è una radiografia spietata di una capitale dove i ruoli si confondono, dove l’ultras può diventare broker, e dove il potere si conquista anche con il sangue. A distanza di anni, il processo continua a svelare i legami, le alleanze, i silenzi. E i molti, troppi, che sapevano.