Il giallo di Liliana Resinovich ancora non ha portato a nessun punto di svolta. Ogni volta che emerge un nuovo dettaglio, la trama diventa più complicata e più assurda. La donna sparisce il 14 dicembre 2021, viene trovata cadavere 21 giorni dopo, infilata in due sacchi neri, con un cordino stretto attorno al collo. Tre anni di indagini, consulenze, talk show, eppure ancora nessuno è riuscito a rispondere alla domanda più semplice: chi l’ha uccisa? In queste settimane si è tornato a parlare di un terzo uomo, un farmacista con cui Liliana avrebbe avuto una relazione. A rivelarlo è Claudio Sterpin, l’amico storico della donna che fin dall’inizio si batte contro l’ipotesi del suicidio. “Mi aveva accennato che aveva avuto una simpatia, se non una storia”, ha raccontato a Morning News, spiegando che fu un giudice, durante l’incidente probatorio, a chiedergli di chiarire questo dettaglio. Ma Sterpin va oltre e parla di una macchinazione studiata nei minimi dettagli: “Per questo è successo tutto il martedì, era premeditato da tempo perché, venendo lei in casa mia, io diventavo un punto chiave della sua scomparsa”. L’uomo è dunque convinto che qualcuno volesse incastrarlo: “Sono convinto che è stata studiata tutta questa manovra… Infatti, ancora adesso, viene tirato in ballo che lei, sconvolta per il fatto di non sapere se rimanere a casa mia e lasciare Sebastiano oppure no, si sarebbe suicidata. Ma se si è suicidata, spiegatemi come e dove. E come l’hanno trovata in quel posto in cui non può essersi suicidata”.
A rafforzare questa linea arriva anche il legale di Sterpin, Giuseppe Squitieri, che a Morning News ricorda l’incongruenza tecnica della tesi del suicidio: “Ricordo a tutti che, a prescindere dalla bizzarria con cui si sarebbe suicidata, ovvero con due sacchi con un cordino, sicuramente qualcosa di inverosimile, c’è già stato un giudice che, proprio a fronte delle lacune e degli errori della consulenza precedente, aveva ordinato un’altra consulenza”. La consulenza della dottoressa Cattaneo e di altri medici legali aveva infatti demolito scientificamente la sentenza iniziale. Anche Candida Morvillo non risparmia critiche a Sebastiano Visintin, marito di Liliana: “Mi colpisce molto l'insistenza di Sebastiano e dei suoi avvocati sul suicidio. Non mi convince dal punto di vista umano, perché noi abbiamo un marito che dice io e mia moglie eravamo felicissimi insieme, fra noi non c'erano problemi, quest'uomo si rifiuta di credere che sua moglie avesse una relazione con Claudio Sterpin che è qui con noi, quindi questa donna felicissima che non aveva un'amante, perché doveva suicidarsi? E quale marito che ritiene di essere felice con la moglie, indagato dell'omicidio della moglie, dice si è suicidata e non piuttosto per favore cercate l'assassino?" Parole che suonano come una lama nella narrazione del marito, che continua a ripetere “era un suicidio” nonostante tutto sembri urlare il contrario. Un cadavere in due sacchi, un cordino stretto, indizi che non combaciano, testimoni che parlano di relazioni e intrighi mai del tutto chiariti. E allora la domanda resta, più pesante che mai: se non è stato Visintin, se non è stato Sterpin, e se davvero non è un suicidio… chi ha messo Liliana Resinovich in quei sacchi?
