Dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io. Sarà che il protagonista della vicenda in questione è il fondatore di un gruppo social denominato “Scuola di botte”, ma l’attacco della Cgil ai filmati anti-borseggio, girati in metro a Roma dal videomaker Simone Cicalone, ha tutta l’aria di una guerra puramente ideologica. Ossia fuffologica. Un ring a più contendenti in cui il sedicente alleato può in realtà nascondere le fattezze dell’effettivo avversario. Il caso è semplice. Il significato (politico), un po’ meno. Cicalone - quasi 700 mila follower su YouTube e 229 mila su Instagram, in cui firma reportages contro la delinquenza delle stazioni e periferie d’Italia – si è messo alle calcagna dei borseggiatori della metropolitana di Roma. Accompagnato per sicurezza da professionisti di boxe e arti marziali quali Matteo Faraoni e Mattia Pileggi, individua e bracca i presunti delinquenti, naturalmente nascondendone il volto. Non torce loro una sola piega del vestito, ma adotta la tecnica, diffusa in televisione dagli inviati di Striscia la Notizia e Le Iene, di inseguire l’obiettivo allo sfinimento, creando quella tensione che fa rimanere lo spettatore incollato alla sequenza. In genere, iniziative di questo tipo fomentano i politici. Stavolta, invece, è stata la Cgil Roma-Lazio a insorgere. In una nota scritta dal segretario Natale Di Cola al prefetto della capitale, Lamberto Giannini, il sindacato confederale ha manifestato tutta la sua “preoccupazione” per “comportamenti inaccettabili nei confronti di persone additate come intenzionate a compiere furti”. Per il sindacalista “la sicurezza”, oltre a dover restare appannaggio delle istituzioni pubbliche, dovrebbe passare “per la promozione di tutti quei valori che rendono una società più inclusiva e più includente”.
A quel punto, alla destra al governo non è parso vero di buttarsi nella mischia. A difesa di Cicalone, ovviamente, che “difende i cittadini”. A dichiararlo è stato un vecchio missino oggi parlamentare di Fratelli d’Italia, il milanese Riccardo De Corato, che addirittura ha annunciato un’interrogazione, sull’intervento della Cgil. Ma anche il sindacato di destra, l’Ugl, per non esser da meno dei rivali di sinistra ha sentito il prorompente bisogno di dire la propria, sostenendo che le video-denunce alla Cicalone sono utili a “trasmettere il disperato grido d’aiuto che emerge dalle tante periferie”, dove i nostri “connazionali sfiancati da questa infinita crisi (economica, finanziaria, sociale, ambientale) si trovano sistematicamente scavalcati e marginalizzati rispetto alla minoranza di turno, e per questo si sentono invisibili”. A leggerla così, si è di fronte a una contrapposizione già vista: da un lato, una sinistra che si indigna per il rischio di giustizia-fai-da-te più che per l’oggettiva piaga della micro-criminalità da strada; dall’altro, una destra che scatta a prender le parti di chiunque si attivi in proprio, con quelle che vengono di solito definite “ronde”, nell’idea (illusoria o strumentale) di fare opera di sensibilizzazione sulla pubblica sicurezza. In mezzo, nel caso specifico, un creatore di video le cui intenzioni sono ottime. I modi, no. Cominciamo da lui, Cicalone, ed esaminiamo solo l’oggetto in discussione: il materiale girato sui taccheggiatori della metro romana. Il primo problema è rappresentato dall’identificazione del possibile furfante beccato a svuotare borse e tasche. Come si fa ad avere la certezza che abbia saccheggiato qualche avventore? Difficile averla. Ma è un problema tutto sommato minore: telecamere a parte, se un qualunque cittadino si accorge che un individuo ha derubato qualcuno, fosse anche nel dubbio è in diritto, e in teoria anche in dovere, di segnalare il fatto. A chi? Alle forze dell’ordine. Cicalone, e con lui chi è a favore dell’uso dei telefonini per immortalare ladri e malfattori di vario tipo, può giustificarsi affermando che più segnalazione di così, si muore. A dire il vero, trattasi non tecnicamente di segnalazione, che comporterebbe girare il video solo alla polizia, ma di pubblica testimonianza. Un po’ quello che farebbe un giornalista andando a mostrare il sottobosco delinquenziale, in questo caso, della metro di Roma. Ma allora, svolgendo quello che potrebbe chiamarsi a tutti gli effetti un servizio di pubblica utilità, l’autore sarebbe tenuto a farlo senza aggiungere alla paura del cittadino d’essere ripulito, se non rapinato, la voglia di mettersi a stare addosso all’eventuale ladro. Denunciare mediaticamente, cosa legittima e giusta, non significa fare i pedinatori e gli inseguitori. Cosa si vorrebbe ottenere, che l’accusato ammetta di aver rubato e restituisca il maltolto a uno che non è né poliziotto né carabiniere? È evidente che Cicalone non fa altro che seguire le orme dei vari Staffelli e Iene assortite, che hanno scambiato le inchieste per tallonamenti fisici. Una modalità certamente spettacolare per facilitare gli ascolti, i click e le polemiche. Ma che è, e resta, un malcostume da piazzisti.
Ancora peggio, però, le reazioni. Il segretario cigiellino Di Cola deve abitare su qualche lontano pianeta in un’altra galassia: con quale coraggio, sull’infame racket dei borseggi, riesce a sfoderare le formulette da oratorio rosso-rosé (“i valori di una società più inclusiva e più includente”, dio santo ci viene il diabete fulminante) lo sa solo lui. Ché poi, di grazia: ma per quale arcano motivo un sindacato dovrebbe rendere edotta l’opinione pubblica della propria opinione, su un tema come questo? Forse per tutelare l’onorabilità e il lavoro dei suoi iscritti addetti all’ordine pubblico? Ma dovrebbe prendersela piuttosto con chi li impiega male, o non li impiega affatto, nel senso che proprio non ne assume abbastanza. E di qui veniamo al nocciolo: ha ragionissima Cicalone a mettere in risalto l’insufficiente schieramento di forze sul terreno. Perché la questione è solo questa: non c’è un numero sufficiente di agenti messi a sorvegliare i luoghi di maggior traffico di persone, come sono i vagoni della metropolitana. E di chi è la responsabilità? Delle questure, le quali fanno capo al ministero degli Interni (titolare Matteo Piantedosi, fra l’altro ex prefetto di Roma), cioè al governo. E chi sta al governo oggi? Un Consiglio dei ministri la cui presidente, Giorgia Meloni, guida il primo partito della maggioranza, Fratelli d’Italia, che per bocca del deputato Riccardo De Corato corre a mettere politicamente il cappello su un Cicalone che, in pratica, sta dicendo “guardate qua, cari responsabili della sicurezza, che schifo di situazione”. Il meno titolato di tutti a parlare gioendo delle web-incursioni dovrebbe essere chi, attualmente, ha la responsabilità di gestire la cosa pubblica, incluso l’ordine pubblico. Ovvero, in primis, Fratelli d’Italia. Insomma, siamo alle solite: alle chiacchiere retoriche di certa sinistra fanno da specchio rovesciato le vuote chiacchiere di certa destra. Solo che oggi a governare è la destra. Tutto ciò non è meraviglioso, non è - direbbe qualcuno - tutto bellissimo?