L’automobile, simbolo di libertà e modernità, sembra oggi percorrere una strada in salita, fatta di cambiamenti tecnologici e decisioni politiche che, lungi dal tracciare una via chiara, paiono disseminare incertezze. È una crisi complessa quella che affligge l’industria automobilistica europea, una crisi che si muove tra parcheggi colmi di auto elettriche invendute e l’ombra lunga di un oriente pronto a invadere il mercato con veicoli a basso costo. Un paradosso economico, culturale e ambientale che mette a rischio un patrimonio di sapere tecnico e ingegneristico accumulato in oltre un secolo.
“Ci sono tanti piccoli problemi che, da un lato, si riconducono alla politica e, dall’altro, alla scarsa visione dei manager delle aziende”, racconta Emiliano Perucca Orfei, giornalista automobilistico (Automoto.it), youtuber (Masterpilot) e pilota, intervistato nel podcast Pdr da Daniele Rielli. Le sue parole, appassionate e illuminanti, dipingono un quadro in cui l’Europa si è incamminata lungo una strada apparentemente senza uscita. A fronte di normative sempre più stringenti sulle emissioni di CO2, i produttori europei hanno imboccato la via dell’elettrico senza valutare appieno le conseguenze, lasciandosi alle spalle un’opzione di neutralità tecnologica che avrebbe potuto includere biocarburanti e idrogeno.
Il risultato? Le auto elettriche, costose da sviluppare, hanno caricato di costi anche le auto termiche, facendo schizzare i prezzi alle stelle. E così, una Panda che una volta costava 9.000 euro ora ne costa 17.000. Una crescita che non segue solo la normale inflazione, ma il peso economico delle nuove tecnologie che non riescono a sfondare sul mercato.
Non si tratta, tuttavia, solo di un problema economico. L’adozione dell’elettrico ha generato un cortocircuito culturale, minando la percezione stessa dell’auto come simbolo di libertà. Per Orfei, la libertà promessa dalle auto elettriche è troppo spesso vincolata dalla realtà di infrastrutture inadeguate: “Con l’auto elettrica, la libertà personale viene a mancare. Sei vincolato a dove ricaricare e quando fermarti. Se ti ritrovi in autostrada con poca carica, non hai la stessa immediatezza di risolvere il problema come faresti con un pieno di benzina”. E ti tocca pure mangiare costosissimi panini in Autogrill.
Emblematico il racconto dello stesso Orfei, che, viaggiando con una Tesla, si è trovato costretto a lasciare l’auto in un parcheggio con lo 0% di carica, sapendo che al suo ritorno non avrebbe nemmeno potuto aprire le porte. “Non c’è una serratura meccanica. Se la batteria si scarica completamente, non puoi fare nulla senza chiamare il carro attrezzi.” Un dettaglio che racchiude la vulnerabilità pratica di un sistema ancora lontano dalla maturità.
L’altro grande paradosso si trova nel bilancio ambientale. Mentre l’Europa si impone vincoli ferrei sulla CO2, le sue automobili contribuiscono appena all’1,5% delle emissioni globali. Come spiega Orfei, l’inquinamento è una questione complessa: oltre alla CO2, ci sono le polveri sottili, i NOx. Eppure, si preferisce sempre intervenire sull’auto, il bersaglio più semplice. Non si parla, per esempio, delle caldaie a gasolio, ancora diffuse, o delle emissioni delle navi e degli aerei, che contribuiscono in maniera significativa ai livelli di inquinamento globale.
La narrativa dominante che circonda l’auto elettrica è quindi intrisa di contraddizioni. Da un lato, si sottolinea la sua maggiore sostenibilità ambientale, ma i dati sul ciclo di vita completo raccontano una storia diversa: una macchina elettrica ha un impatto iniziale in termini di CO2 molto superiore rispetto a una termica. Per pareggiare le emissioni, bisogna percorrere almeno 100.000 chilometri. Nel frattempo, l’energia che alimenta queste auto non è sempre verde: “La produzione di energia elettrica comporta comunque emissioni, soprattutto in paesi dove il mix energetico è ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili.”
Se tutto questo non bastasse, il mercato europeo deve fare i conti con l’ascesa cinese. Mentre Tesla domina il segmento premium, i produttori cinesi si stanno imponendo con auto economiche, sia elettriche sia ibride e termiche, conquistando un pubblico sempre più vasto. “Fino a vent’anni fa, comprare un’auto cinese era impensabile. Oggi è quasi normale. I nuovi brand sono sempre più competitivi, grazie a costi di lavoro inferiori e a un’offerta che sa adattarsi alle esigenze di mercato,” afferma Orfei.
Ma l’Europa, in questa partita, sembra destinata a giocare in difesa, schiacciata tra normative stringenti e una concorrenza agguerrita. Come sottolinea Orfei, “La mancanza di visione strategica ci ha portato a rincorrere modelli altrui senza trovare un equilibrio tra innovazione e realtà.” E così, mentre Tesla si arricchisce grazie ai crediti verdi e i cinesi espandono la loro quota di mercato, l’industria europea rischia di perdere il suo ruolo guida, trascinando con sé migliaia di posti di lavoro e un intero sistema economico.
La soluzione? Forse, la politica deve tornare a giocare un ruolo di regia, promuovendo un approccio più equilibrato e tecnologicamente neutrale, che includa idrogeno, biocarburanti e una rinnovata attenzione alle infrastrutture. Perché se l’auto è davvero il simbolo della modernità, allora il suo futuro non può essere costruito su scelte miopi. Come ci ricorda Orfei, il progresso non è solo tecnologia. È la capacità di unire innovazione e buon senso.