“Quelle intercettazioni hanno fatto male prima di tutto ai Turetta e poi a tutti noi, alla società intera”. Parole uscite dalla bocca di Gino Cecchettin, intervistato dal Corriere della Sera. Parole, le sue, che conservano le tracce di un’umanità che solo chi ha vissuto la tragedia in prima persona poteva dire. Gli altri, tutti a scandalizzarsi, a puntare il dito, a snocciolare opinioni come se fossero richieste, come se fosse necessario farlo, come se la verità fosse qualcosa di facile. L’intervista a Cecchettin è incentrata sui discorsi fatti dal padre di Filippo Turetta al figlio in carcere, poco dopo l’assassinio di Giulia. Le intercettazioni sono uscite su tutti i giornali con titoli scandalistici, puntando il dito sul fatto che il padre avrebbe giustificato la mostruosità del figlio. Il giorno seguente, poi, gli stessi giornali si erano affrettati a pubblicare editoriali o articoli di rimorso, in cui si sosteneva che quelle frasi non avrebbero dovuto essere state date in pasto all’opinione pubblica. Lo stesso padre dell’assassino era stato costretto a scusarsi pubblicamente, dicendo che la frasi erano mirate a scongiurare il suicidio del figlio. Una situazione complessa, che gli appassionati di true crime e di opinionismo non avevano potuto né voluto comprendere a pieno, limitandosi a schierarsi pro, ma soprattutto contro, il signor Turetta. Le parole di Gino Cecchettin sono totalmente diverse. Le uniche a rendersi conto della portata della tragedia, senza l’ipocrisia dei giornali che prima hanno dato in pasto Nicola Turetta ai leoni da tastiera, poi hanno fatto la gara a chi lo avrebbe salvato per primo. Vediamo cosa ha detto il papà di Giulia al Corriere.
Gino Cecchettin, alla domanda sulle frasi emerse dalle intercettazioni, dice che sui contenuti non entra nel merito, non vuole giudicare. Anzi, il fatto che siano uscite dopo 9 mesi “non ha avuto alcun senso”. Hanno soltanto avuto un effetto negativo, hanno fatto male dice. Non a lui, perché il suo dolore è incomparabile a tutto il resto. Hanno fatto male alla società, perché “Accanirsi contro un padre che sta vivendo un momento di grande difficoltà è sbagliato. Noi tutti dovremmo pensare a questa famiglia, a come aiutarla”. Poi aggiunge che il nostro compito, come società, è quello di “costruire valore”. Gino Cecchettin racconta di mettersi nei panni dei genitori di Turetta, che hanno anche un altro figlio, e che stanno vivendo una situazione difficile da spiegare, e che per colpa di quelle intercettazioni sono costretti a ripartire da zero. Lui e il papà dell’assassino si scrivono, aggiunge, per farsi gli auguri di Natale o di Pasqua, ma non se la sono ancora sentita di parlare dell’argomento. Questo è comprensibile.
Quello che, specialmente dall’esterno, risulta più difficile da capire, è l’empatia che Gino Cecchettin prova per il padre di Turetta e viceversa. Due uomini uniti da una tragedia assurda che cercano di proseguire una vita oltre al dolore, e che andrebbero lasciati in pace. Gino Cecchettin ha anche dato la luce a una fondazione per sostenere le donne vittime di violenza, il cui obiettivo è quello di formare una rete di professionisti che vadano nelle scuole per aiutare i ragazzi a riconoscere le relazioni tossiche e per sensibilizzare i giovani sulla violenza di genere. Queste sono le cose di cui si dovrebbe parlare, per evitare che vengano fuori altri mostri. Tutti i discorsi sul padre di Turetta servono solo a crearne di nuovi.