Com’è ormai prassi, sulle frasi pronunciate dal padre di Filippo Turetta si sono create due fazioni. Come in tutti gli altri casi, entrambe hanno una parte di ragione e una parte di torto, e non arrivano alla verità. Chi, dopo aver sentito le frasi, accusa il padre di giustificare il figlio e quindi di aver cresciuto un femminicida. Chi lo difende punta sulla sofferenza empatica di un genitore nei confronti del figlio. Prima di andare avanti sono necessarie due premesse, due punti da tenere fermi per capire il discorso. La prima è che Turetta è di fatto un mostro, ma viene troppo facile accontentarsi di dire che è un personaggio disumano tanto per sapere di essere nella parte giusta dell’umanità. La seconda è che, grazie anche alla battaglie combattute in passato da gente come Cesare Beccaria e Victor Hugo, i mostri assassini non cessano di essere considerati come esseri umani dentro le carceri, ed è per questo che il periodo di reclusione, a volte troppo breve, è mirato a riabilitarli e a rieducarli a essere persone, e non più mostri.
A volte ci si riesce, a volte no. Le parole del padre di Turetta risalgono al 3 dicembre e ormai le avrete lette tutti: “Non sei un mafioso, non sei uno che ammazza le persone, hai avuto un momento di debolezza. Non sei un terrorista. Devi farti forza. Non sei l’unico. Ci sono stati parecchi altri. Ti devi laureare”. A leggerle da fuori, in un contesto di normale razionalità, sono parole che fanno prudere le mani. La logica collassa, perché tra le righe si legge che Giulia Cecchettin non era una persona, che essere un mostro in mezzo ad altri duecento dovrebbe essere un mezzo gaudio, che un mafioso o un terrorista dovrebbero essere peggiori di uno che ammazza la fidanzata in quanto loro uccidono con un’intenzione o un progetto, come se Turetta non ce l’avesse avuto. Se ci fate caso, sono quasi tutte frasi negative, che iniziano con un non.
In mezzo, ci sono anche due frasi positive, affermative: “Devi farti forza” e “Ti devi laureare”. La povera Giulia non c’è più, e questa è una cosa che non si può razionalmente perdonare. Emotivamente, ancora meno. Turetta è un mostro, ma è altrettanto mostruoso pensare che il genitore di un mostro tenti di giustificare il figlio dopo che ha commesso un atto del genere. Lo stesso padre che, nei giorni successivi al delitto, aveva affermato che sarebbe stato meglio se il figlio si fosse ucciso. Quello però che detrattori e difensori del padre di Turetta non hanno notato è che si dà per scontato che le frasi siano il frutto di un’elaborazione spontanea e personale. Credete davvero che, siamo al 3 dicembre, a meno di un mese dall’atroce crimine, gli enti interessati abbiano fatto incontrare i genitori con Turetta senza aver preparato tutto nei minimi dettagli? Dal dialogo risulta anche che Turetta abbia fatto una domanda al padre, ma che il padre abbia proseguito nel suo discorso senza rispondere al figlio. Dovrebbe essere quasi ovvio che il discorso del padre sia stato preparato da uno psicologo. Le frasi sono chirurgiche per quanto il loro significato, per noi che siamo fuori, sia inaccettabile. Si vuole negare al mostro di esserlo, sia per evitare che tenti il suicidio, sia per reinstradarlo verso l’umanità. Si offre, tramite le affermazioni, l’esistenza di un progetto positivo di vita, cioè la laurea.
Certo è più semplice, e magari anche naturale, pretendere la pena di morte o la giustizia sotteranea carceraria come soluzione, e magari anche chi difende il padre di Turetta non lo fa del tutto in fede cristallina, visto che gli unici a parlare di empatia sono stati Libero, Il Giornale e La Verità, che a pensar male potrebbero anche averlo fatto per dissimilitudine politica con Elena Cecchettin, sorella di Giulia, e con Fabio Fazio promotore del padre Gino e dei suoi libri. Poi c’è la polemica sul fatto che queste parole siano uscite sui giornali, aizzando i commenti negativi sulle parole del padre di Turetta. Eppure sarebbe bastato scrivere che le parole erano probabilmente il frutto di una precisa strategia clinica, e che a buona ragione il primo nel sentirsi a disagio nel doverle pronunciare sarà stato proprio lui, il padre di Turetta. L'inutilità della vendetta la si discute dai tempi della tragedia greca classica, e dimostrare disumanità ci mette solo sullo stesso piano del mostro.
Lo stesso padre di Turetta, dopo le infinite polemiche, è stato costretto a intervenire: "Chiedo scusa per quello che ho detto a mio figlio. Gli ho detto solo tante fesserie. Non ho mai pensato che i femminicidi fossero una cosa normale. Erano frasi senza senso. Temevo che Filippo si suicidasse. Quegli instanti per noi erano devastanti. Non sapevamo come gestirli. Vi prego, non prendete in considerazione quelle stupide frasi. Vi supplico, siate comprensivi", aggiungendo che adesso lo gogna mediatica sta rendendo ancora più impossibile la vita a lui, alla moglie e all'altro figlio. Inoltre, come avevamo scritto noi, ha parlato della laurea a suo figlio "solamente per tenerlo impegnato e non fargli pensare al suicidio". Avrà letto questo articolo, che era uscito prima delle sue dichiarazioni di oggi?