Da ormai 24 anni Dagospia è un punto di riferimento per chi cerca retroscena e scoop. Notizie in esclusiva riguardanti ogni ambito, dallo spettacolo alla politica. Il deus ex machina è da sempre Roberto D’Agostino, fondatore di Dago e amministratore unico. Parte del meccanismo della testata è anche suo figlio Rocco D’Agostino, che ne detiene il 100% del capitale. Per quanto riguarda l’organizzazione societaria, però, ci sono alcune novità. Roberto e Rocco, infatti, avrebbero optato per l’emissione di azioni cedute gratuitamente a Riccardo Panzetta, giornalista di 43 anni che collabora con Dago da più di 13 anni. Le quote rilevate da Panzetta sono del 5% che, seppur non siano molte, rappresentano comunque un cambiamento: fino a oggi, infatti, Rocco era stato unico proprietario delle quote societarie. Per dirla tutta qualche novità era nell’aria, specie dopo l’intervista-“testamento” di Roberto a Italia Oggi del novembre scorso: “Io faccio quello che mi piace ho una redazione meravigliosa, con il mio vice Riccardo Panzetta, e andranno avanti anche dopo di me. o sempre creduto che la felicità sia fare la cosa che ci piace, e che il lavoro sia la dignità dell’uomo. Io faccio quello che mi piace. Ho una redazione meravigliosa, con il mio vice Riccardo Panzetta, e andranno avanti anche dopo di me. Io morirò davanti al computer scrivendo su Dagospia”. La palla, dunque, passa in mano al figlio Rocco, che ora è proprietario del 95% del capitale. Ma quali sono i numeri di Dago?
Nel 2023 i ricavi sono stati di 2,2 milioni, con utili di circa 800mila euro, in crescita rispetto al 2022, dove Dago si era fermato a 680mila (pur con 2,6 milioni di ricavi). Il patrimonio netto è di 4,3 milioni di euro e l’ammontare del debito trascurabile. E per quanto riguarda lo stipendio di Roberto D’Agostino? Essendo amministratore unico di Dagospia spa percepisce un compenso di 300mila euro all’anno, nonostante non sia in possesso di nessuna quota. I marchi Dagospia (e i relativi domini web) e Cafonal, invece, hanno ricevuto una rivalutazione nel 2020 di 600mila e 240mila euro. Insomma, dopo 24 anni dei cambiamenti sono fisiologici, ma la base per proseguire è decisamente solida.