Non più tardi di una settimana fa, la Lega di Salvini commentava la proposta di inserire l'educazione sessuale e sentimentale nelle scuole come un "abominio". Come sempre, una parte della nostra classica politica sembra vivere su un altro pianeta, in un'altra dimensione o semplicemente con immense fette di salame sugli occhi. L'educazione sessuale, assieme a quella sentimentale, dalla primaria in poi, non è più una scelta su cui possiamo serenamente confrontarci, ma piuttosto un bisogno urgente e impellente. Nell’ottica dell’educazione affettiva, è necessario spiegare ai giovanissimi, ai giovani e agli adulti come gestire il dolore senza riversarlo sugli altri. Un individuo dotato di buon senso e una laurea in psicologia dovrebbe prendersi la briga di spiegare alle varie "Vignalisi" che chiedono un incontro con la fidanzata dell'ex con la scusa di chiarire ma con l'intenzione di ferire fisicamente chi c'entra nulla (in questo caso sfregiando con l’acido la nuova ragazza) che questo comportamento è da miserabili. È fondamentale far capire che se l'altro se ne va, se non è più felice e sceglie una strada diversa da quella dell'ex, la soluzione non è inseguirlo o, peggio, attaccarlo.
Prendiamo ad esempio l'avvocatessa romana Martina Scialdone, che ha concesso un ennesimo appuntamento chiarificatore solo per ritrovarsi uccisa da chi, in passato, le aveva giurato vero amore, proprio di fronte al ristorante dove avevano appena consumato l'ultima cena insieme. Qualcuno dovrebbe far notare a coloro che gridano istericamente per mantenere un elettorato bovino e ottuso, che la maggior parte della popolazione necessita di un'educazione sui sentimenti (e sul ses*o) per imparare a gestire sofferenza, lutto e instabilità emotiva. Molti giovani uomini devono capire la differenza tra la vita reale e il porno, e che un “no” significa negare il consenso, non è l'inizio di un film hardcore di abusi. Ricordiamoci tutti insieme che l'acido appartiene ai cessi e alle fogne e che usarlo contro l'ex fidanzato, come nel caso di Sara Mastro, non serve per urlare al mondo quanto siamo feriti, ma quanto siamo incapaci di accettare una fine e di elaborare il dolore in modo costruttivo. Davanti a tutte queste vittime della sofferenza e della vanità altrui, dobbiamo ricordare che il vero abominio è negare una realtà oggettiva: siamo tutti potenziali vittime di coloro che si sentono autorizzati a farci del male solo perché non siamo stati in grado (secondo loro) di renderli felici. Educare i bambini di sei anni ai sentimenti potrebbe servire loro a diventare autosufficienti, a usare la propria sofferenza come uno strumento di crescita.