Da anni Gianluigi Nuzzi (che venerdì 13 settembre torna su Rete 4 con Quarto grado) si occupa di cronaca nera e criminalità e nel 2022 ha condensato le sue conoscenze in un libro pubblicato da Rizzoli, I predatori la deriva barbarica degli italiani. Dopo l’omicidio Bellocco, erede di una delle più importanti ‘ndrine calabresi, quella che porta il suo nome, e dopo l’ennesima aggressione in Stazione centrale ai danni di un ragazzo salito in città per un test alla Statale (ma rapinato nella galleria della metro da tre stranieri irregolari con precedenti penali), lo abbiamo intervistato per capire cosa non stia funzionando a Milano, ancora al primo posto tra le città più pericolose di Italia secondo Il Sole 24 Ore. Tra microcriminalità e baby gang, violenza senza una ragione e problemi di sicurezza tanto nelle periferie quanto nel centro storico, com’è possibile che non si riesca a garantire la sicurezza dei cittadini? Che responsabilità ha Beppe Sala?
Il 7 settembre un ragazzo di 19 anni è stato picchiato e poi rapinato alla Stazione di Milano da tre persone alle 7.45 di mattina, alla luce del sole. Dov’era la sicurezza? Com’è possibile accade?
Ci sono problemi cronicizzati. Da sempre le stazioni italiane sono terra di nessuno. Il secondo aspetto è l’aumento della microcriminalità, sia quella reale che quella percepita. Una volta si picchiava per rapina, oggi si registrano anche a Milano atti e pestaggi di sconosciuti in luoghi della movida da parte di microbande che poi si dissolvono e a volte i componenti non si conoscono neanche tra loro. A Milano non abbiamo una reazione adeguata alle aspettative di sicurezza dei cittadini.
Qual è il ruolo dell’amministrazione locale in tutto questo?
Io sono rimasto esterrefatto quando il sindaco Sala, qualche mese fa, disse che a Milano c’era meno delinquenza perché erano diminuiti gli omicidi. Una frase che trovo estemporanea. Gli omicidi non sono un indicatore di sicurezza sociale, siamo in Italia non in Messico. Gli indicatori sono altre tipologie di reati. Il problema sono lo spaccio, un’aggressività sempre più diffusa e trasversale che colpisce nel centro storico come nelle periferie.
Episodi di microcriminalità, baby gang, spaccio. Milano è anche considerata la città più pericolosa d’Italia. Qual è il problema più grave che ci troveremo ad affrontare nei prossimi anni?
Il problema di Milano è che non c’è una vera competizione elettorale per il sindaco. Noi dobbiamo avere un candidato forte del centrodestra e uno forte del centrosinistra, e i sindaci devono avere un’autonomia gestionale superiore rispetto a quella che hanno. Essere sindaco deve essere un obiettivo e un orgoglio personale, non un ripiego dove guadagni poco e hai troppe responsabilità. Mi dispiace nei confronti di Sala, di Pisapia e dei predecessori, ma fare il sindaco a Milano oggi è pericoloso. Dico questo perché, non essendoci questa competizione tra persone forti, tutto questo si riflette nei problemi nella catena di comando tra amministrazione locale e regione e governo. E il problema resta non gestito. Noi abbiamo il questore di Milano, Bruno Megale che è un’eccellenza nazionale e una persona competente. Abbiamo un comando dei carabinieri competente, abbiamo una procura strutturata, però ci sono anche problemi di ordine pubblico. Se fai ogni sera una retata in Stazione centrale, è chiaro che sposti il problema in un altro quartiere. Servono risposte coerenti, dure, che non finiscano nel contrabbando della politica, perché interessano tutti i cittadini indipendentemente da chi si vota.
Un’altra cosa che colpisce è questa: gli aggressori erano tutti e tre stranieri irregolari con precedenti penali. Cosa non funziona se abbiamo individui del genere in piena libertà?
È un problema di gestione della popolazione carceraria, perché il numero di chi commette reati è superiore ai posti nelle carceri. Quindi: o si trovano pene alternative o si aumentano le carceri. Noi siamo anche un Paese iperdemocratico a mio avviso. Una donna incinta che compie dei reati di scippo ed evita il carcere perché è incinta, è un esempio di grande democrazia e di Stato di diritto che però confligge con la realtà che dobbiamo affrontare in città. Perché poi il primo a diventare razzista è chi finisce vittima di queste persone che restano impunite.
L’omicidio di Bellocco, erede di un clan della ‘ndrangheta, per mano di un ultras con condanne per reati gravi, Beretta, anche lui legato al mondo del crimine organizzato, è un caso emblematico di un problema più generale? Qual è il legame tra curve e criminalità a Milano?
Quello che è successo è all’attenzione della magistratura in tutte le sue declinazioni, ma implicano delle indagini che richiedono molto tempo. Ma bisogna innanzitutto evitare di generalizzare. Le curve non sono in mano alla criminalità organizzata, sono espressione di un tifo. Ci sono dei settori, dei segmenti, che hanno questo tipo di genetica alternata, ma sono una parte delle curve. Poi per sintesi giornalistica, anche criminalizzando tutti gli ultras, optiamo per delle scorciatoie dialettiche. Sono andato alla festa della curva del Milan questa estate ed era pieno di bambini. Io credo che le responsabilità siano individuali e serva ragionare in questo modo per fare pulizia.