Massimo Giletti, a “Lo stato delle cose”, come noto, ha messo sotto accusa (giornalistica, per carità) Roberto Scarpinato, ex magistrato della Procura di Palermo, adesso parlamentare del M5S, collega non troppo (per niente) amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sulla questione: è vero o no che Scarpinato nascose a Paolo Borsellino l’archiviazione dell’inchiesta su Mafia e Appalti. E se sì, perché? Dalle intercettazioni si evince che Scarpinato, chiamato con Gioacchino Natoli (sotto inchiesta della magistratura per favoreggiamento aggravato alla mafia, poiché avrebbe contribuito a insabbiare la sopracitata inchiesta) a testimoniare di fronte alla Commissione Antimafia, presieduta da Chiara Colosimo di Fratelli d’Italia, avrebbe con quest’ultimo concordato le risposte da dare in commissione, lasciandosi andare a, diciamo così, considerazioni non troppo lusinghiere nei confronti di Borsellino, ucciso dalla mafia, nella strage di via D’Amelio, due mesi dopo la strage di Capaci, dove fu fatto esplodere Giovanni Falcone. Scarpinato e Giletti sono stati protagonisti di una lite, con Scarpinato che accusava Giletti – e in questo sostenuto dal M5S – di, per farla breve, fare insinuazioni sulla sua persona per motivi meramente politici. Daniele Capezzone, direttore di Libero, ne ha chiesto le dimissioni immediate. Scarpinato continua a difendersi sostenendo che l’archiviazione sarebbe avvenuta dopo la morte di Borsellino e che quindi non poteva nascondere una faccenda non ancora avvenuta. Ma sappiamo che c’è differenza (temporale) tra la richiesta di archiviazione e la sua effettiva trasmissione e registrazione: la richiesta di archiviazione della inchiesta mafia-appalti, sarebbe dunque antecedente alla morte di Borsellino (al quale si sarebbe tenuta nascosta la cosa) mentre la registrazione sarebbe avvenuta, per così dire, a Borsellino morto. Tutto molto interessante. Ma per inquadrare meglio la questione dobbiamo storicizzarla e contestualizzarla, soprattutto per comprendere di cosa si “accusa” (giornalisticamente e politicamente) Scarpinato e di cosa è sotto inchiesta (giudiziaria) Natoli. Ricordiamo, e credo sia essenziale, che tra la morte di Falcone e quella di Borsellino, successe, politicamente, il finimondo. Cossiga si dimise (in polemica con la magistratura, ma per altre faccende, almeno questa fu la versione pubblica) e venne eletto Oscar Luigi Scalfaro. Cadde il governo Andreotti VII e fu proclamato Presidente del Consiglio Giuliano Amato, che mise al Viminale il democristiano Nicola Mancino. Molte fonti – e un appunto su una agenda di Borsellino – ricordano un incontro, Tra Mancino e Borsellino, proprio nel giorno in cui vi fu il giuramento dei ministri. Incontro durante il quale Mancino avrebbe informato Borsellino dell’inizio della trattativa stato-mafia. Mancino, a Borsellino morto, negò risolutamente quell’incontro, sminuendolo a “suggestioni”. Ma altri – tra cui il magistrato Giuseppe Ayala, lo ricordano invece bene. Avvenne o non avvenne quell’incontro? Le due cose, a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, avrebbero fatto esplodere di rabbia Borsellino, che invece fu fatto esplodere e basta. La domanda, in buona sostanza è: ci vu un vero e proprio complotto contro Borsellino, che implicava vertici dello Stato, oppure siamo di fronte alla solita complicatissima vicenda all’italiano in cui pezzi di Stato vanno l’uno contro l’altro, poi ci si mettono in mezzo i servizi segreti, girano voci, Borsellino viene isolato, non lo si tiene al corrente, mentre lui stasso, Borsellino in persona, andava dicendo: “Sono un morto che cammina”. Adesso, prendiamo Scarpinato, immaginiamo che (logicamente) il sottotesto delle domande di Giletti sia: ma Lei era un complottaro o semplicemente uno che aveva subodorato e in qualche maniera contribuito all’isolamento di Borsellino? Perché nel primo caso la faccenda sarebbe grave, ma, non essendoci al momento nessuna inchiesta sopra la testa di Scarpinato potremmo/dovremmo escludere questa ipotesi. E allora perché, ove fosse, Scarpinato non avrebbe informato Borsellino dell’archiviazione, evitando che piantasse pubblicamente un bordellone? Lo fece perché sapeva che di lì a poco Borsellino sarebbe stato, in qualche maniera fuori dai giochi? O perché non volevano che Borsellino minasse la loro tranquillità e la loro – come definirla – codardìa? O avevano ricevuto “ordini” dall’altro per tenere Borsellino all’oscuro? C’è qualcosa di più o si tratta soltanto – ripetiamo, ove fosse avvenuta questa omissione di informazione – di umana pavidità? E perché Scarpinato, in quest’ultima ipotesi, non lo dice? “Mi spaventavo, voi non sapete cosa stava succedendo in quel periodo. Voi non immaginate le pressioni. Certo pressioni non dette. Ma io non sono un eroe”. Stranamente – ma è un giudizio come un altro – Scarpinato insiste nel volere confermare la sua versione dei fatti: l’archiviazione dell’inchiesta avvenne dopo la morte di Borsellino. Ok. Ma la trattativa stato-mafia, e questo lo sappiamo per certo, cominciò tra le due stragi: fu tra Capaci e via D’Amelio che i Ros si misero in contatto con Vito Ciancimino per iniziare a contrattare. Sapeva Scarpinato della trattativa? Sapeva se Borsellino e Mancino si incontrarono?

Chiara Colosimo ha dichiarato sin dal suo insediamento che tra i compiti della Commissione Antimafia ci sarebbe stata l’intenzione di fare chiarezza sull’epoca delle stragi per cercare di comprendere se vi furono collusioni con pezzi dello Stato. Una dichiarazione di principio spesso fatta ma solo a parole. Questa volta sembra si stia facendo sul serio. E sembrano davvero inutili, se non al limite del ridicolo, le intenzioni di Scarpinato di volere “seppellire la Colosimo sotto una montagna di documenti”, perché, almeno così pare, le carte in mano, quelle giuste, ce le hanno la Colosimo (e Giletti) tanto che i nervi di Scarpinato sembrano siano saltati durante l’intervista di Giletti. Né paiono, a dire il vero – altra mera opinione – giustificate le levate di scudi del M5S che gridano all’attacco “politico”, richiamando alla mente le tesi (direi quantomeno stantìe) di chi pensava Capaci e via D’Amelio come due colpi di testa della mafia slegate da qualsiasi strategia (e questa posizione sembrerebbe quantomeno eccentrica, provenendo dai Cinquestelle, o no?). Alcuni rimproverano alla Colosimo una certa durezza nel corso delle audizioni, ma, a quanto ricordiamo, il problema delle Commissioni parlamentari è stato sempre quello di diluire all’infinito il problema e di seppellire l’opinione publica sotto un mare di bla bla. Adesso, invece, sembra si vada direttamente al punto. Allargando il campo della discussione, come ha fatto Daniele Capezzone, laddove il M5S sembra volerlo restringere a questioni locali e prettamente malavitose. Che il malaffare, come sostiene Capezzone, in Sicilia fosse seduto su un tavolo a tre gambe (maggioranza, opposizione e mafia) dovrebbe essere pacificamente fuori discussione, anche perché la cronaca odierna ci conferma in questa convinzione (cronaca odierna siciliana che – bisogna osservare a malincuore – poco viene “battuta” dagli organi di informazioni nazionali e dai programmi di approfondimento, eppure ce ne sarebbero di cose da raccontare). Così come, in Sicilia, furono parecchi i politici di sinistra, anche se al livello amministrativo e locale, che furono sfiorati dalle indagini di Mani Pulite (senza condanne, a dire il vero). Le indagini di Falcone e Borsellino avrebbero dato fastidio anche a costoro? Non ci piove,soprattutto in una realtà, come quella siciliana. Anzi, ricordo che proprio dopo mani pulite e la scomparsa della Dc furono tanti i transfughi ex democristiani verso i lidi del Pds. Ed è per questo che, oggi, ci poniamo una ulteriore domanda: a che gioco stiamo giocando?

Ricordiamo che l’interesse intorno alla strage di via D’Amelio, sugli eventuali depistaggi, sul pentito Scarantino che sarebbe stato manovrato dalla Procura di Caltanissetta, e quindi da Giovanni “Gianni” Tinebra, iniziarono quando quest’ultimo era in sedia a rotelle, e io lo ricordo, alla Baia Verde, riverito da tutti. Quello che si diceva di lui, anche facendosi profondi e magari a bassa voce, era: “E’ stato un vero servitore dello Stato”, come a fare intuire che egli – ma non era difficile intuirlo – sapesse di più di quanto si poteva dire in un civile consesso. Perché la vicenda è questa: Falcone e Borsellino si opponevano a una certa visione dello Stato che scendeva a patti con la mafia, che si spaventava delle bombe ed era disposto a ridiscutere il regime carcerario del 41-bis. Per alcuni pezzi dello Stato, insomma, Falcone e Borsellino erano due rompicoglioni che non sapevano dove si stavano infilando. Per altri, ovviamente, erano e sono due eroi inarrivabili. Questa è la vicenda per come è avvenuta. Ma, e qui sta quello che domandiamo: qui prodest? Quanto sta tirando fuori Giletti è molto interessante, ma da quale punto di vista? Sicuramente da quello storico. Ovviamente dal punto di vista della presa sul pubblico, dell’indignazione, della morale e dei moralismi. Ma si ha come l’impressione, in questa come in altre vicende, che la “storia” sia un valido alibi per non parlare del presente. Stiamo scrivendo di cose avvenute nei primi anni Novanta, i cui protagonisti sono quasi tutti morti. Scarpinato è un “nunsunteddu”, come diciamo in Sicilia, uno che non era magari in grado di gestire la propria posizione quando c’era da tirare fuori le palle, oppure era un tramatore cospiratore? Oppure ancora si decise dell’archiviazione dell’inchiesta mafia e appalti dopo la morte di Borsellino? In ogni caso, tutta questa attenzione su vicende morte e sepolte (in senso anche letterale) non giova forse come un immenso tappaorecchi sulla questione mafiosa odierna? Siete sicuri che non ci sia nulla da raccontare sui rapporti tra mafia e politica oggi? O fa comodo a tutti parlare di storia e non di cronaca? Perché, a volte, si arriva ad avere questa (speriamo sbagliata) impressione.
