Il re è nudo. Come è sempre stato fin dai primi anni Ottanta, intento a castigare donne sui set dei p*rno con la sua enorme minchia. Un lavoro che gli ha dato fama internazionale, premi e medaglie al valore ergendo il signor Tano a simbolo, alzabandiera, orgoglio patriottico per decenni. Una narrazione che oggi, in realtà oramai da tempo, non è più sostenibile. Un nuovo servizio de 'Le Iene' (qui il link), andato in onda martedì 15 aprile su Italia 1, raccoglie le testimonianze di fin troppe ragazze che lo accusano di stupro sia sul set che nel backstage. Lui, raggiunto dall'inviata Roberta Rei, si ritrae da ogni reclamo, parlando di "complotti", mettendo avanti i tanti riconoscimenti vinti in carriera e soprattutto definendo le sedicenti vittime come gentucola a caccia di visibilità e soldi. Improvvisamente, sentendo parlare in tv di prolassi anali, vedendo questo sessantenne ricurvo sulla giovanissima attrice di turno mentre insiste per ottenere rapporti estremi, l'Italia s'è desta: forse stiamo assistendo a qualcosa di violento, difficile da guardare, qualcosa di profondamente sbagliato, nauseante. Qualcosa che, però, abbiamo sempre avuto davanti agli occhi, plaudendo con entusiasmo le gesta hard del signor Tano, famoso tra le altre cose per aver messo la testa di una donna nel cesso durante un amplesso, tirando lo sciacquone. Scena che, se non andiamo errati, gli è pur valsa un premio internazionale. Potevamo e dovevamo svegliarci prima? Sì, cazzo. Indignarsi ora non serve praticamente a niente, se non a lavarci una coscienza che non tornerà pulita mai.
Il discorso qui, vi preghiamo di non fraintenderci, va ben oltre la morale. Ognuno si eccita con ciò che vuole e fa sesso come gli pare, ci mancherebbe. Il consenso nel porno, però, è materia che va approfondita quando non proprio definita a partire da zero. Nel servizio de 'Le Iene' vediamo ragazze dire espressamente no più volte, ancora prima di girare, e Siffredi andare avanti, fregandosene, a fare ciò che ha comunque in mente (in genere, rapporti anali - perché quelli, a quanto pare, assicurano più views, specie se la ragazza è alla sua prima volta, soprattutto se non vuole). Qualcuna è finita all'ospedale? Sì. Ci sono attrici che, dopo il trattamento, convivono con danni fisici permanenti? Anche. Come può essere considerato, tutto ciò, intrattenimento? Eppure, lo abbiamo considerato tale per decenni. Rendendoci in qualche maniera complici di una stortura nascosta in piena vista. Una stortura che oggi lo stesso Rocco fatica a comprendere: ha da sempre avuto il plauso dell'Italia intera e non solo per il semplice fatto di tenere una minchia tanta e di usarla come e quanto gli pareva. Ora deve fare i conti con una risposta di segno diametralmente opposto: il pubblico non apprezza più ciò che fa, anzi, in molti casi si indigna e lo schifa. Difficile far capire questo (doveroso) cambio di rotta a un uomo di 60 anni che ha sempre campato così. Infatti, non lo concepisce. E se non lo concepisce, ancora una volta, è anche colpa nostra.
A un certo punto, è stato deciso di rendere Rocco Siffredi da guilty pleasure per intere generazioni di segaioli a personaggio nazional-popolare: ha partecipato a diversi reality, tra cui l'Isola dei Famosi, lo abbiamo visto testimonial di diversi spot tv (tra cui quello della 'patatina che tira'). Fino alla follia dei nostri giorni in cui gli viene dedicata una serie agiografica da parte di Netflix, con toni non dissimili da un qualunque sceneggiato Rai sul santo di turno. Il signor Tano, poi, è sempre in giro a parlare di sé, dei propri gloriosi fasti: interviste tv, ospite di podcast, perfino tournèe tetrali dal titolo che dice tutto: 'Rocco racconta Rocco'. Il signor Tano, inevitabilmente, vive e guadagna tuttora sul mito di se stesso. Un mito che per molti, però, oggi non esiste più.
Rendere Siffredi 'pop' è stata una mossa scriteriata: i video mostrati dal fresco servizio de 'Le Iene' sono sempre esistiti e più o meno tutti li abbiamo visti. In quelle scene, non si vede libertà o provocazioni contro l'Italia bigotta che si deve dare una bella svegliata: sono sequenze grette e disturbanti in cui un uomo di una certa età cerca di costringere donne o ragazzine a fare quello che dice lui bisbigliando loro all'orecchio: "more money, no prob". Mentre queste piangono, si disperano e tentano di divincolarsi. Ma sono in una stanza, da sole, col signor Tano nudo, determinato e arrapato. Ogni volta che vi capita, se vi capita, di andare a teatro a vedere un bel monologo di Rocco Siffredi, dovreste davvero ricordare che state applaudendo anche a questo. Che lo fate, che lo facciamo, da decenni.
L'inchiesta de Le Iene andrà avanti a giudicare dal finale del servizio in cui Rei domanda a Rocco se non ritenga opportuno chiedere aiuto, andare in terapia. Con tono fin troppo conciliante, a nostro modesto avviso. Poi, promette al re del p*rno di sentire altre ragazze, da lui indicate, pronte a testimoniare l'estrema correttezza che vige da sempre sui set del nostro. Il diritto di replica è sacrosanto, ma pensiamo di aver già visto abbastanza. Questa diventa semplicemente l'ennesima occasione per Siffredi di alimentare il mito di se stesso, trovarsi alibi, raccontarsi perfino perseguitato per futili motivi (l'invidia altrui). Non stentiamo a credere che il signor Tano, abituato a vivere del proprio caz*o perché così lo abbiamo abituato, abbia (sempre avuto) davvero difficoltà altrettanto enormi a concepire che una donna possa non voler far sesso con lui. Con ogni probabilità, Siffredi lo vede come un onore, un grande privilegio, non contempla alternative. E se non contempla alternative non è soltanto per la dipendenza dal sesso con cui racconta di lottare da anni. Non contempla alternative al sì perché è sempre stato portato a credere, tramite plauso dell'Italia intera, che quella fosse l'unica risposta possibile a una sua avances.
E se adesso sentiamo queste storie dolorosissime da ascoltare, queste denunce che raccontano e mostrano orrori che non ci sentiamo nemmeno di ripetere, la colpa è nostra in quanto persone, media, pubblico pagante: abbiamo scelto di eleggere Rocco Siffredi a simbolo di 'sto gran caz*o, pensando pure che non ci sarebbero state conseguenze. Ora che le conseguenze stanno, inevitabilmente, venendo a galla, indignarci è da ipocriti. Siamo fuori tempo massimo, abbiamo avuto questa situazione davanti agli occhi per fin troppi decenni. E ce n'è importato 'na sega. Con la speranza che la questione prosegua nelle sedi opportune - che no, non sono Le Iene, quella è sempre e comunque televisione, e dove Rocco si potrà difendere come meglio crede - andiamo a vomitare.
