L’Italia, dopo gli Usa, il Regno Unito e il Giappone è tra i principali importatori di Champagne, con oltre 10 milioni di bottiglie. E sono dati che crescono di anno in anno. Gli italiani, si sa, sono buongustai. Al netto di chi beve ancora lo champagne nei flûte e nelle coppe Martini. Che è sempre meglio che berlo direttamente dalla bottiglia. Il che vorrebbe dire come essere alla canna del gas. Lo Champagne va degustato in bicchieri alti, panciuti al centro e più stretti in alto, così da sprigionare al meglio gli aromi del vino. Un vino che coinvolge tutti e cinque i sensi. L’udito è il primo coinvolto nella degustazione, ma il suono deve essere il più discreto possibile, sia quando viene stappato, sia quando percepiamo il mormorio della effervescenza e delle bolle. Il secondo senso è il colore. Anche esso può rivelare molto sul contenuto e riguarda una tavolozza di tinte che vanno dal giallo verde, all’oro antico, al rosa intenso. Le tinte rosa riguardano solo i rosé e più sono intense più il mosto è stato a contatto con le bucce del Pinot Noir ed eventualmente del Meunier. Quelle gialle possono essere la spia di uno champagne giovane, fresco, o al contrario di una cuvée complessa, che ha raggiunto una certa maturità.
L’olfatto è una giostra di sentori, che dipende da molti fattori, ci sono champagne che lo Chef de Cave riproduce praticamente identici a se stessi per ogni release, altri che al contrario sono per così dire figli unici, parliamo dei millesimati che risentono dell’andamento della annata e di certe cuvée. Diciamoci la verità, produrre uno champagne richiede un processo assai più difficile che di quello seguito per ottenere il più seducente profumo al mondo. I vigneron, infatti, devono vedersela ogni anno con i capricci e i benefici della Natura. Il gusto. Be’, anche qui c’è un gran divertimento. Tanto che riassumerlo in poche righe è praticamente impossibile. I punti di riferimento più importanti son il grado zuccherino e l’acidità. Due poli fondamentali, ma con una terra di mezzo quasi incommensurabile. Per non menzionare il fattore tempo. Non esiste, insomma, Intelligenza Artificiale che possa mai ricreare, non dico lo Champagne perfetto, ma anche un buono Champagne. Il quinto senso, il tatto, paradossalmente è qualcosa che possiamo solo sognare. Ma è l’aspetto più sexy dello Champagne. Intingere un dito in un calice di Champagne non vuol dire nulla (al limite ne valutiamo la temperatura), ma un calice di Champagne richiama eccome un immaginario che con il senso del tatto ha a che vedere eccome. Carezze e così via. A qualsiasi ora del giorno e della notte. “Love To Love You Baby” (Donna Summer) è per esempio una canzone imperdibile con un calce di champagne. La nobiltà, la borghesia e il popolo. La Champagne a suo modo riflette con le sue componenti principali una stratificazione sociale di antica data, anche se stiamo semplificando. Vi sono le maison blasonate (370), gli intraprendenti vigneron (16.000) e le cooperative (130), che riuniscono piccoli produttori. Un ordine che regge da almeno 300 anni. Nell’insieme sono tre realtà che hanno una forza innovativa notevolissima. E oggi affrontano forse la loro sfida più grande, quella del cambiamento climatico. Chi opera nel mondo agricolo sa bene che non si tratta di una sciocchezza.
Con il Comité Champagne, che riunisce tutti i produttori della denominazione, dai più piccoli ai più grandi, abbiamo visitato sei diverse cantine. Quindi abbiamo pranzato e cenato, sempre accompagnati da una bottiglia di Champagne in diversi ristoranti, tutti raccomandabili, come raccomandabile è immergersi almeno una volta in questa splendida regione. La prima cantina che abbiamo visitato, de Venoge, è ospitata proprio in una sontuosa villa che si affaccia su Avenue de Champagne . Qui vi è tra l’altro la possibilità di essere ospitati in una suite o anche solo consumare ottimi apetizer, condividendo una delle cuvée della Maison, nell’elegante locale L’Écurie. Servono persino una genuina burrata. Alcuni delle sue prestigiose etichette sono dedicate al sovrano Luigi XV, che nel 1728 permise il trasporto dei vini, Champagne incluso, in bottiglia. Sembra una banalità, ma fu una rivoluzione per il mondo vitivinicolo.
Lo Champagne Volleraux è il frutto di una famiglia che opera fin dal 1805. Fate voi il conto del numero di generazioni coinvolte. In parte produce e imbottiglia in proprio, in part conferisce le uve ad altri, tanto per fare un esempio nientemeno che a Veuve Clicquot. I Volleraux sono, insomma, vigneron che conservano intatti i propri valori fin dalle origini. Tra i più evidenti la concretezza, concretezza sempre finalizzata alla qualità del prodotto. Charlotte titolare dello Champagne Le Gallais a Boursault è una giovane donna travolgente. Ci accompagna tra le vigne e stappa una bottiglia dietro l’altra. Non fai a tempo a terminare un calice che già apre un nuovo nettare. Che vini questi di Le Gallais! Qui si coltiva una certa predilezione per il Meunier, vitigno minoritario nei blend di Champagne. Ma noi vi segnaliamo in particolare due vini, il Rosé Le Poète dedicato al genero di Madame Clicquot, il Comte de Chevigné, giocatore d’azzardo e autore di liriche erotiche. E in seconda battuta suggeriamo il Blanc de Blancs La Pavillone.
Un’esperienza immersiva tra le vigne e persino ludica da non perdere va compiuta insieme con M. Antoine e Virginie Lutun, titolari dello Champagne Dallancourt. I suoi vini sono decisi, precisi, corretti. I vigneron non solo vi porteranno in un luogo unico tra i vigneti, ma vi coinvolgeranno in un percorso che include il riconoscimento di aromi, il sabrage (cioè l’arte della sciabolata per stappare l bottiglie di bollicine) e una degustazione delle cuvée, difficile da dimenticare. La maison Dallancourt di Epernay è un esempio della migliore ospitalità in Champagne. Presso la maison Collery di Ay insieme con lo Champagne scopriamo un prodotto quasi sconosciuto in Italia, il Ratafia, un distillato ottenibile sia con lo Chardonnay sia con il Pinot Noir anche nella variante Rosé de Saignée. Il metodo produttivo è piuttosto complesso e il risultato si avvicina più a quello di un liquore, però invecchiato in botti di Sauternes e Cognac. Parliamo quindi un liquido sofisticato, ma anche ottimo se impiegato nella miscelazione, per esempio in twist dl Gin Tonic e Negroni.
Infine, non potevamo mancare di visitare una delle maison storiche più grandi e iconiche della Champagne. L’etichetta gialla di Veuve Clicquot è celebre nel mondo al pari dei Beatles e dei Rolling Stones. Tutto nasce in sostanza grazie all’intraprendenza della Grande Dame della Champagne, Barbe-Nicole Clicquot Ponsardin, donna non bellissima, stando ai ritratti contemporanei, ma dal cervello fino. La vedova Clicquot assunse le redini della maison a 27 anni e compì tre importantissimi cambiamenti nel mondo dello Champagne. Dalla invenzione del remuage, a quella del Millesimato fino a quella del Rosé come lo conosciamo oggi. E in queste tre pratiche essa fu seguita da tutti i vigneron della regione. Tanti uomini che dovettero “inginocchiarsi” al suo genio. La visita alle cave di Veuve Clicquot a Reims è un’immersione che vale gran parte del viaggio.
Dove dormire? In Champagne non è semplice trovare alloggio in alberghi d’alto livello, a Reims è raccomandabile per esempio l’Hotel de La Paix, con un attraente bar e un discreto ristorante, ma in tutta la regione si stanno via via attrezzando con camere e suite in affitto anche molto eleganti. Mangiar bene, invece non è un problema. La scelta è molto varia.
Au Cul de Poule (Reims) servono piatti più tradizionali con portate d’ispirazione Thai e Iberica. Mentre a Epernay il Comitté Champagne ci ha fatto scoprire un altro curioso ristorante, il Why Not elegante e insieme discreto. Il servizio non è rapidissimo, ma lo chef ci tiene a preparare quasi tutto al momento. E la carta dei vini e degli Champagne non è affatto male.
Infine, segnaliamo un locale davvero notevole a Reims, Coudes sur la Table. Anche se il menu serale porta la menzione Carte des Tapas, dimenticatevi i piccoli assaggi iberici.