Un It-Alert è scattato mentre gli accoppiati sonnecchiavano tra un ritiro del pargolo dal corso di arte e una cena tra mamme. In una realtà parallela un sottobosco di persone sta infatti ribaltando quel sinistro sentimento di onta relativo al non essere riusciti a impalmare un essere con cui condividere i propri giorni, finché morte non li separi. Ma anche oneri e onori, bollette e panni da lavare. Se un tempo il problema era "sistemarsi", come dicevano le italiche nonne, per non soffrire la solitudine e avere una stampella alla quale appoggiare le stanche membra e scongiurare la solitudine, pare che oggi si stia rivalutando l'ebbrezza del dare valore al proprio tempo. Questa apoteosi del solipsismo trae la sua genesi proprio dal calo dei matrimoni e dall'aumento progressivo di persone single di questi tempi bui. I social pullulano di improvvisati coach su come impiegare il proprio tempo da soli, senza sentirsi fuori posto in una società costruita sul sacramento del matrimonio - almeno in Italia - ma soprattutto facendone un punto di forza e non di demerito.
Questo solo date – da non confondersi con lo speed date in voga fin dagli anni Ottanta (che richiedeva appunto una soluzione al problema della singletudine trascinata con resiliente dolore e vilipendio da parte del parentame) – per adesso pare risolversi in uscite in solitaria nella convinzione che non sia necessario avere per forza compagnia per frequentare ristoranti, mostre, cinema e svaghi in genere. Nulla di troppo sconvolgente, insomma, a pensarci bene. Chi di noi non ha affrontato almeno una volta l'esperienza di bere un caffé o acquistare un libro da solo? Ma c'è un valore aggiunto. Il dare a questa azione un supporto – e dovuto corollario – di “coscienza del proud self love”. Io mi amo e quindi non-ho-bisogno-di-compagnia.
Noi di MOW abbiamo voluto approfondire questo fenomeno di ribaltone della solitudine come svantaggio, di vecchio retaggio e stigma di chi era rimasto fuori dalla corsa al confetto relegandosi a scapolo per l’uomo e zitella per la femmena, per abbracciare il nuovo senso di rivalsa dell'essere da soli e goderne un gran tanto.
"Vivo la vita così, alla giornata, con quello che dà", cantava il Califfo, esaltando l'ebbrezza della sua leggendaria libertà. E così abbiamo chiesto a tutti i single sotto tiro disponibili cosa si provasse a svolgere comuni attività in solitaria senza per questo sentirsi reietti.
"Odio andare al ristorante da sola", ci dice Chicca, musicista single romana somigliante ad una giovane Bardot. "Capita davvero raramente che io sia da sola”, chiosa Flavia, artigiana, "ma sono lieta che anche in Italia stia prendendo piede questa abitudine perché all'estero è normale mangiare fuori anche senza compagnia e dovrebbe esserlo anche qui".
"Io sopporto la solitudine" - ci dice Sonia parrucchiera croata single - "di fatto io vivo sola, faccio tutto da sola ma preferisco compagnia, se posso. Anche se sono molto orgogliosa del mio saper vivere autonomamente".
E così abbiamo deciso di provare anche noi, usando il plurale maiestatis, giusto per fare appunto compagnia a me stessa, già spaventata dalla solennità che ammanta questa nuova rivalutazione dell’“uscire con sé stessi per stare in ottima compagnia”.
Il contesto scelto, da non sottovalutare, è Roma, e già la connotazione dell'esperienza è chiara. Uscire a Roma con la giusta attitudine mentale permette di godere di curiosi siparietti tipici, che li si ami o li si odi. Abbiamo cominciato a stare in compagnia di noi stessi a partire dalla colazione al bar di un sabato libero. A Roma si può incappare nel barista scocciato già di prima mattina come in quello che fischietta. È toccato in sorte quello che fischietta e allunga il vassoio per portare fuori in autonomia cornetto e cappuccio comprensivo di cuore di schiuma annesso. La colazione da soli risente di tante variabili, c'è da dire. Bisogna approfittare, si spera, di qualche gioia in più disseminata sul cammino di recente, per poter cominciare la giornata col giusto spirito. Questa è la riflessione che va sbriciolandosi sulla camicia insieme al cornetto. E così, senza volerlo, già comincio a condividere la mia prima colazione in solitudine coi passeri sui sampietrini, mesti. Brutto segno, bruttissimo, signori.
Convinta di proseguire nell'esperimento imitando gli influencer nel loro percorso tipo di "una giornata con sé stessi", cerco di convincermi a non invitare qualcuno per pranzo. Paventando di mischiare foglie di insalata, lacrime e salame per l'ansia di mangiare da sola, mi sforzo di prenotare un ristorante, assicurandomi di organizzare per bene tutta la giornata in modo da essere distratta e non pensare troppo. Sfrutto gli ultimi tepori settembrini de Roma pensando di godermi mezza giornata di mare a Fregene, e così raggiungo il rinomato centro balneare e mi accomodo fronte mare presso “La Baia”.
"Da sola?" Il cameriere toglie il resto dei coperti e il tavolo si svuota. Certo il mare a settembre non aiuta, c'è pochissima gente. Istintivamente la mano va sul cellulare. Ecco i primi sintomi di ricerca di compagnia. Accanto a me ci sono due ragazzi che parlano piano. Dietro stranieri succhiano molluschi del litorale laziale. In poche parole nessuno mi si fila.
Agli spaghetti alle vongole veraci mi accorgo che inizio a comporre la sagoma di un cuore con li gusci vuoti dei bivalvi. La voce del cameriere giunge a proposito cantando in lontananza “Come saprei” di Giorgia e io farei di tutto per strillare sgangheratamente il resto della melensa cantilena terminando la strofa con “aamarti ioo”, ma mi do un contegno. Mi sento un po’ Jessica nel film “Viaggi di Nozze” nell’atto di approcciarsi ad una banana celando l’esotico frutto per conferire eleganza e discrezione alla propria solitaria presenza alla mensa, in attesa di un Ivano qualunque, ma niente, nessuno si palesa.
Pago i parchi trentacinque euro e pongo fine a ciò che avrebbe potuto concludersi in una figura indecente. Quattro passi sul bagnasciuga a guardare le coppiette fare effusioni dinanzi al bagnino - che a sua volta guarda le tette del bronzeo esemplare di femmina autoctona tipica di Fregene, pelle di cuoio e muscolatura scolpita in palestra pregna di radicali liberi in eccesso.
Alle 17 ho in programma di passare da Feltrinelli in piazza Argentina e quindi mi rifaccio a ritroso l'Aurelia con autoradio a tutto volume evitando di prendere per i fondelli Tananai che inneggia ad un amore tra le palazzine a fuoco, perché inizio ad empatizzare con lui sentendomi sola sulla via del ritorno.
Presso l'Area Sacra penso alla cena, perché il single mangia anche la sera, e da solo. Ma intanto in libreria afferro il volume “Il gabbiano Jonathan Livingstone” di Richard Bach, per ricordarmi che la libertà è bella ed essere outsider eleva lo spirito.
La sala superiore di Feltrinelli non ha nulla a che vedere con le varie sale da tè estere in cui si studia e si lavora in santa pace con qualcosa da bere o da mangiare. Qui ci si appollaia in un corridoio affollato con il libro in mano e si guarda una vetrina di pochi piatti freddi sotto cellophane perché "Guarda, fuori c'è l'area sacra, che caz*o di altro vuoi? Pure er tè?"
Abbandono il Gabbiano saggio ed i suoi voli ebbri di solitudine e orgogliosa apartheid e cerco un taxi augurandomi quantomeno di fare quattro chiacchiere col tassinaro, che mi riporterà a casa ad abusare di social e tv.
Sono fortunata. Mi prende a bordo il più logorroico cafone tassista laziale con tanto di centuria e fascio littorio tatuato sul braccio peloso che l’Urbe abbia mai visto.
Ma è gentile e siccome sono bistrata per l'occasione come Amparo, celebre Drag Queen di Garbatella, evidentemente gli ricordo sua zia vecchia e mi fa fare quattro risate.
Per quanto mi riguarda è dura ammettere che l'esperimento solo date è miseramente fallito e mi accoppierei pure con un facocero in calore pur di rivedere anima viva con cui parlare. Bramo di trovare domani un vigile col quale litigare ed un impiegato di Agenzia delle Entrate Riscossione sulla Colombo con in mano il caffettino dell’impiegato per scambiarci insulti nell’amato idioma natio. D’altronde a Roma ciò è sempre possibile.
Lo stare bene da soli è una conquista. Auguri a tutti di buona convivenza con chi ci sopporta e soprattutto con noi stessi, visto che dovremo conviverci per tutta la vita.