Una mattina a Roma può capitare che ci si trovi all'Isola Tiberina. Quella che nacque per un accumulo di fascine in mezzo al Tevere, ai tempi di Romolo, divenne poi un'isola destinata al confino degli appestati e la sede di un tempio dedicato ad Esculapio nel 293 a.C. Sulle ceneri del tempio pagano – di cui rimangono ancora i resti - sorse un sanatorio dell’ordine spagnolo dei Frati Calibiti. Ancora oggi il simbolo di Esculapio è scolpito da qualche parte sulla "prua" di questa isola raccordata alla città con due ponti. Accade che quella mattina ci si ritrovi anche tristi e sconsolati, a guardare i gabbiani che sorvolano il fiume, mentre il sole tiepido delle dieci comincia a dorare le foglie dei platani e si cerchi conforto in un baretto. All'interno Adriano Celentano canta a tutta callara "Soli" e attraverso i vetri si scorge una bicicletta filare piano dinanzi ai vecchi reparti dell'antico ospedale. È in quell'attimo, mentre il barista porge il cappuccino, che Roma concede il suo abbraccio consolatorio e nonostante tutto, è casa. Accanto al baretto Tiberino vi è una vecchia trattoria, è quella che dal 1959 serve piatti romani concepiti da Sora Lella, sorniona romana spiccia che amministrava orgogliosa la sua cucina, accanto alla ex Confraternita dei Devoti di Gesù al Calvario e di Maria Santissima Addolorata in sollievo delle Anime Sante del Purgatorio. …Detti anche ‘Dei Sacconi Rossi’. Costoro andavano di notte a seppellire nei sotterranei i corpi dei disperati affogati nel Tevere o trovati in giro, avvolti in rossi mantelli luciferini dotati di cappucci, finché Papa Gregorio XVI mise il veto e trasferì tutti al Verano.
Ebbene restare nei cuori della gente è forse la cosa più difficile che c'è. Tutto passa in questa vita e come diceva Vasco Rossi "ognuno è in fondo perso dietro i cazzi suoi". Elena Fabrizi, la Sora Lella, nei cuori della gente romana c'è rimasta. Sorella di Aldo Fabrizi, attore storico di film come Roma città aperta e Guardie e ladri ha conquistato il pubblico incarnando la nonna di "Mimmo" nei film di Carlo Verdone, ma soprattutto la nonna romana di tutti noi. A Roma esiste tutto un frasario che ruota attorno alle vicende di Mimmo con sua nonna, da tirare fuori all'occorrenza con la risata o la nostalgia di film che un Verdone giovane e in forma sfornava regalando scene indimenticabili e con una Lella assurta a simbolo di Roma nella sua quotidianità. Non c'è trippa ammantata di pecorino, non c'è pollo affogato nel sugo dei peperoni che non abbia servito ai romani, la Sora Lella, nata a Campo de’ Fiori e trasferitasi a Monteverde poi. Noi di MOW se semo accollati il duro lavoro di andare a provare i piatti di questa storica trattoria romanesca, d’altronde, come si dice, è un duro lavoro ma ecc ecc. E così abbiamo attraversato il Ponte Quattro Capi di sera, per varcare la fatidica soglia mentre Simone, nipote di Lella, era già sul punto di imbruttirci (accoglierci in maniera brusca, nda) sorprendendoci a fare foto all’uscio. "So 5 euro a foto, ve avverto. Pe fa quer muro lì c’avemo messo quarant’anni", fa presente indicando la parete foderata di quadri e foto storiche.
Nel locale affacciato sulle rapide del Tevere (location letteralmente unica al mondo) tutto parla di lei. Sora Lella everywhere. Le mura parlano con la voce della sua icona, grazie ai detti popolari che era solita ripetere. "Se me sbajo me so persa er ventajo", recita un piatto ricordo. "Assaggia, poi me dichi ch’or’è". E poi il menù del ‘59, le fotografie di lei giovane con la parannanza in cucina. Noi ci siamo fatti dire cosa piaceva di più a Lella e siamo così affondati nei suoi gnocchi di patate alla amatriciana (giganteschi, pepati un colpo e immersi nel sugo di guanciale, astenersi diverticolosi infiammate) poi abbiamo affrontato il vitello alla fornara con i broccoli romaneschi - sarvate mandrà – colante di grasso nel sughetto di ciccia, ‘Il piatto freferito della Sora Lella’, recitava il menù, un carciofo alla giudia - aiutatece a di bbono - e un maritozzo con la panna. Roma nun vòle re, ma questo è l'unico che accetta. E mortacci che re. Alla fine gridavamo pietà. Pane scrocchiarello e un bicchiere di vino e chi s’è visto s’è visto. Simone ci è stato accanto in questo cammino verso la gloria raccontandoci qualche ricordo della celebre Nonna; "Si addormentava alle due del pomeriggio dopo pranzo qui al ristorante e poi diceva ‘me date un po’ de gelato alla crema così me svejo. Siccome aveva il diabete nun poteva mangià e allora ogni tanto chiedeva un pezzetto de cioccolata ai ragazzi, qui dentro".
Racconta che dopo aver girato le scene di qualche film tornava subito nel suo ristorante, che aveva tirato su con il figlio. "La gente crede che siamo un posto turistico ma non è vero. Siamo veraci e dietro ogni piatto c’è una ricerca. Ci snobbano soprattutto i romani pensando che siamo turistici, infatti a Roma di posti storici di cucina tradizionale ce ne sono pochi, Saremo cinque in tutto". In questa sera fredda di novembre, la bottega storica di questo pezzo di Roma scampato agli sventramenti da mania dell’Impero del pazzo di Predappio riporta indietro negli anni di Roma sparita. Sora Lella riappare nei ricordi trasteverini con una cesta di carciofi in grembo, nell’atto di insegnare alle donne romane come se capano gli ortaggi per farli come Dio comanna. Ma la Sora Lella era veramente della Lazio? Chiediamo. "Nonna aveva quattro nipoti, di cui uno della Roma e uno della Lazio", dice Simone. "Quindi lei era sia della Roma che della Lazio. Era tifosa delle squadre di Roma. Poi da brava commerciante, quando al ristorante arrivava ad esempio Nils Liedholm, allenatore della Roma del secondo scudetto, lei diventava della Roma". Ah annamo bene, proprio bene. Cit. Uscendo ammettiamo di avere un attimo di cedimento, da duri quali siamo, guardandoci intorno, qui sul fiume sacro "ai destini di Roma" a pochi metri dal Velabro, dove si arenò la cesta dei Gemelli prima di essere recuperata dalla lupa. Pensiamo a Lella morta qui a pochi passi dal suo ristorante, in questo antichissimo nosocomio detto Fatebenefratelli, del quale è ricorso il trentennale l’8 agosto di questo anno. Lei ci avrebbe detto beffarda: "A belli de nonna, mo lassateme riposà che so stanca. Anzi, mo annatevela ‘mpo a pija ‘nder culo...".