Appena l’aereo di Matteo Piantedosi è atterrato a Roma, dopo il respingimento alla dogana da parte delle autorità di Bengasi, è scattata la diplomazia d’emergenza. Il capo dell’intelligence esterna, Giovanni Caravelli, ha subito contattato il generale Khalifa Haftar per provare a ricucire i rapporti. Ma il comandante della Cirenaica, deciso a ottenere legittimazione internazionale, si è mostrato irremovibile: per quanto i rapporti con l’Italia restino positivi, l’atteggiamento della delegazione europea è stato giudicato "inaccettabile". A Palazzo Chigi, intanto, iniziavano a circolare sospetti su un possibile ruolo della Francia nel sabotare la missione, mentre a Bruxelles e Roma partiva la caccia al capro espiatorio per un incidente diplomatico che mette a rischio uno dei pilastri della strategia di governo: fermare le partenze dei migranti. Nel mirino è finito Nicola Orlando, ambasciatore Ue in Libia, accusato da alcuni di aver gestito male i contatti a Bengasi. Secondo Repubblica, per qualcuno a Roma “ha fatto tutto lui” e ora sarebbe “troppo schierato con l’altro pezzo di Libia”.
La rottura con Haftar
Il gelo di Haftar, d’altronde, segna una rottura con il passato: se finora aveva sempre ricevuto rappresentanti europei senza condizioni, questa volta ha preteso la partecipazione e le foto ufficiali dei ministri del governo di Bengasi. Un diktat che avrebbe significato la legittimazione politica di un’autorità non riconosciuta, oggi alleata di Mosca e al centro dei traffici d’armi verso il Sahel. A quel punto l’intera delegazione ha fatto marcia indietro. Fonti Ue confermano che è stata proprio Bruxelles a rifiutare le condizioni imposte, ritenendo la presenza di “persone non gradite” nelle foto una linea rossa invalicabile.

Grane per Piantedosi
A Bruxelles si cerca di ridimensionare l’incidente, parlando di un semplice “problema di protocollo”. Ma la realtà è che la delegazione Ue, con Piantedosi e l’ambasciatore Nicola Orlando a bordo, è stata respinta martedì pomeriggio direttamente sulla pista dell’aeroporto di Benina, dove ad attenderla c’era lo stesso generale Haftar. Solo poche ore prima, Orlando era stato ricevuto senza difficoltà dai vertici del governo di Tripoli, internazionalmente riconosciuto, per discutere proprio di sicurezza e cooperazione sui migranti. La tensione politica però si è subito riflessa anche a Roma: Filiberto Zaratti (Avs) accusa Piantedosi di “nascondersi dietro un dito”, chiedendo chiarezza sulla natura dei rapporti con le autorità libiche e sulle ragioni della rottura diplomatica. Per Enrico Borghi (Italia Viva), l’episodio dimostra il fallimento della retorica sui “piani Mattei”, lasciando l’Italia “spettatrice inerme” nel confronto con le complesse dinamiche libiche.
