Sabato 23 marzo Antonio Decaro, “sindaco antimafia” di Bari, come lui stesso si definisce, aveva indetto una manifestazione di popolo per protestare contro le “attenzioni” a lui rivolte dal ministro degli Interni Matteo Piantedosi. Il ministro, infatti, ha nominato una commissione per capire se il comune di Bari debba essere sciolto per infiltrazioni mafiose, come del resto prevede la legge, dopo l’arresto di centotrenta persone da parte della Procura barese. Evidentemente però certi comuni e certi sindaci pensano di essere sopra la legge, a priori. È una forma di perniciosa hybris che deriva dallo stare troppo tempo in posizioni di preminenza. Ricordiamo en passant che alla manifestazione di sabato scorso è scoppiata una delle più grandi grane politiche degli ultimi decenni. Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, non aveva resistito a fare un discorsetto paternalistico nei confronti di Decaro che aveva iniziato la sua carriera politica come assessore proprio in una sua giunta quando il magistrato (non si è mai dimesso) era sindaco di Bari. Racconta Emiliano che Decaro era stato minacciato in una piazza di Bari Vecchia da qualcuno che gli aveva piantato “qualcosa di molto duro” nella schiena. Evitando triviali doppi sensi il “qualcosa di molto duro” era o un “dito molto duro” (sic, ndr) o una pistola, scartando l’imbarazzante ipotesi siffrediana. Non sappiamo di cosa si sia trattato realmente e non lo sapremo mai, fatto sta che il giovane assessore se la diede prontamente a gambe e filò dritto dal sindaco, “bianco come un cencio”, che benevolmente lo prese sotto le sue ali protettrici e lo portò dalla sorella del boss locale per “affidarglielo”. Insomma una mediazione che qualcuno ha definito “trattativa Pd – mafia”. Diciamo che mentre Emiliano raccontava, Decaro lo ascoltava estatico, con i pollici che mulinellavano gioiosi tra le mani inseguendosi come uccelletti, inconsapevole dei guai in cui si stavano cacciando. Infatti a partire da sabato abbiamo poi assistito a un incredibile balletto. La sera Decaro si accorge che la situazione si sta mettendo male e smentisce di aver mai incontrato la sorella del boss. Poco dopo però esce una foto in cui Decaro abbraccia un’altra sorella del boss e contemporaneamente la giovane nipote (incensurate). Allora Decaro dice che sì, le ha incontrate, ma “per strada” e non “a casa”, come se cambiasse qualcosa.
Ma a quel punto Emiliano non ci sta a passare per un vecchio rincoglionito – come un Joe Biden qualsiasi – proprio dalla sua creatura che ha allevato con tanto amore e dedizione e così dice di avere una memoria meravigliosa, molto meglio di quella di Decaro e che lui si ricorda bene, dalla sorella ci sono stati veramente, poffarbacco. Non contento poi, in una intervista al Corriere della Sera, dice che non si pente di nulla e che rifarebbe tutto. Nel frattempo Decaro suda freddo e capisce che gli stanno stringendo un cappio al collo. Pure i giornali di sinistra cominciano a prendere le distanze. La Stampa parla di “pasticcio”. L’unica che non capisce quello che sta succedendo è naturalmente la segretaria Elly Schlein e il pasionario verde Angelo Bonelli (colpevolmente recidivo dopo il caso Soumahoro), che continuano a ripetere come cocorite la loro solidarietà a Decaro, contro le manovre della destra. La manifestazione era iniziata con bandiere sindacali della Cgil in bella mostra e naturalmente del Pd, c’era anche l’Uomo Ragno con tanto di costume, poi la “giovane studentessa” (è un topos, una presenza fissa morettiana) e poi compare Lui, il professor Luciano Canfora, esperto di antichi greci e Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Il suo discorso è accorato, partecipato, determinato, indignato e sudato. Partono strali puntute contro i nuovi fascismi e citazioni minacciose: “Mussolini sciolse i consigli comunali socialisti nel 1922”, poi arringa un po’ la folla cotta dal sole e alla fine molla il podio e in un rigurgito di giovinezza, sghignazza e saltella giù dal palco manco fosse un gerarca che si proietta dentro il cerchio di fuoco di staraciana memoria. Altri oratori lo seguono, tra cui Don Angelo Cassano (no, non è il calciatore di Bari Vecchia pentito per la sua giovinezza dissoluta e geniale), presidente di “Libera Puglia”. Il suo contributo è ecclesiastico, dato il mestiere, anche se smaccatamente di parte. “Decaro, hai già avuto la benedizione da Don Ciotti che ti ha definito un galantuomo”. E allora se c’è la benedizione pasquale di don Ciotti a che ci serve la commissione ministeriale? Ma il pezzo forte, la bomba, deve ancora venire.
Il prelato, un po’ come Don Bastiano (peraltro pugliese e interpretato dal grande Flavio Bucci), il mitico prete spretato de Il Marchese del Grillo, strabuzza gli occhi e parte con l’intemerata: “Dobbiamo avere il coraggio di ricordare che quel ministro, Piantedosi, è lui il vero criminale. Lo dico con coraggio. Giù le mani da Bari!”. Si avete letto bene. Don Cassano dà del criminale al ministro Piantedosi per avere osato indagare sul comune di Bari dopo l’arresto di centotrenta persone. Un atto dovuto, previsto peraltro dalla legge, visto che risultano infiltrazioni mafiose nelle municipalizzate guidate dal sindaco Decaro. E allora la domanda viene spontanea. Con che titolo Canfora e don Cassano attaccano la Magistratura e il Ministro? C’è forse qualcuno che si crede superiore alle leggi della Repubblica? Perché Matteo Piantedosi non dovrebbe indagare se glielo impone la legge? Quanti comuni, anche di centro-destra, sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose? Bari è particolare? E se sì, perché? Forse che è un luogo magico, dove scorrazzano floride lepri marzoline? Una sorta di Repubblica nella Repubblica, con sue leggi e costumi particolari? Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha risposto giustamente indignata: “Le accuse a Piantedosi sono vergognose ed è stato trattato come un criminale!”. Poi dettaglia meglio: “Le accuse di utilizzare politicamente queste misure le reinvio al mittente. Noi non abbiamo fatto nessuna forzatura. Avremmo fatto una forzatura se non avessimo disposto un accesso ispettivo che sarebbe stato disposto nella stessa condizione per qualsiasi altro comune italiano”. E pensare che questo gustoso “filone” della incredibile vicenda di Bari è passato poi in secondo piano a causa del parapiglia scoppiato sulla vicenda Emiliano-Decaro. Ora uno la può pensare come vuole, non si tratta più di una questione politica ma istituzionale. Come è possibile che sia accusato un ministro dell’Interno che fa il suo dovere di essere un criminale e poi assistere subito dopo ad un imbarazzante discorso del presidente della Regione Puglia che dice di aver portato il futuro sindaco di Bari dalla sorella di un boss per proteggerlo? Va bene che siamo nel “mondo al contrario” o “alla rovescia” ma un limite a tutto ci dovrebbe pur essere.