Aveva 21 anni, una storia da raccontare e un futuro da costruire. Ma nella notte tra mercoledì e giovedì, Alex Garufi, conosciuto su TikTok per i suoi contenuti sulla transizione di genere, si è tolto la vita nella sua casa di Sesto San Giovanni. Un colpo di pistola, l’arma del padre – guardia giurata – e nessun biglietto d’addio. La Procura di Monza ha aperto un fascicolo per “istigazione al suicidio”, un passaggio tecnico per permettere l’autopsia, mentre gli investigatori scavano nella sua vita. C’erano difficoltà, questo è certo. Il peso degli insulti sui social, il dolore per la perdita della sorella, le tensioni familiari che si erano fatte più forti con la transizione e la cura ormonale. Alex era seguitissimo su TikTok. Condivideva il suo percorso con la stessa trasparenza con cui si esponeva agli hater. E nei commenti sotto i suoi video, oltre ai tanti messaggi d’affetto, c’erano anche insulti transfobici e attacchi personali.


Proprio sui social, dopo la notizia della sua morte, è scoppiata la rabbia. La comunità Lgbtqi+ ha reagito, gli utenti hanno puntato il dito contro chi odia dietro uno schermo. Daniele Durante, delegato ai diritti di Sinistra Italiana Milano, ha scritto che non è stato un suicidio, “ma un omicidio con dei responsabili”. Parole pesanti, che chiamano in causa non solo gli hater, ma anche i movimenti “come Pro Vita e Family Day e la destra intollerante che nega l’esistenza di queste persone, umiliandole fino a costringerle a trovare la morte”. Ora gli inquirenti hanno sequestrato il telefono di Alex, per capire se dietro al suo malessere ci fossero pressioni più dirette.
