Il kebab è ormai un piatto diffuso in tutta Italia, apprezzato per il suo mix di sapori, il prezzo contenuto e la rapidità di preparazione. Ma è davvero sempre sicuro? E i locali rispettano sempre le normative alimentari? Per rispondere a queste domande, abbiamo parlato con Guido Mori, esperto di cucina e dal 2019 Direttore del Master e corso di Alta Formazione di Arti e Scienze Culinarie dell'ateneo Iul. Ecco cosa ci ha detto. “I panini al kebab, che in realtà non sono panini ma pite, sono un piatto che ha guadagnato notorietà, specialmente negli anni '90 in Germania. Ci sono diversi motivi per cui è diventato così popolare: combina una serie di sapori molto graditi al pubblico, è economico ed è un pasto completo. Se è fatto bene, secondo me, è un ottimo panino. Ha sapori importanti e bilanciati: la freschezza della salsa allo yogurt si unisce al gusto deciso della cipolla. Tuttavia, molto dipende dalla qualità degli ingredienti utilizzati”. Mori spiega da dove spesso nasce l’incertezza sulla qualità del prodotto che si sceglie di acquistare: “Molto spesso, i kebabari sono locali – diciamolo senza troppi giri di parole – piuttosto sporchi. Non so quante volte si possa paragonare un kebabaro poco igienico a un ristorante italiano con le stesse problematiche. Ma è un tema che vale per tutti: l'igiene e la sicurezza alimentare devono essere sempre prioritarie”. Il focus sui kebbabari e locali stranieri da cosa dipende allora? “Se un kebabaro è sporco, il personale non parla italiano (e quindi probabilmente non conosce le normative locali) e l'igiene è carente, possiamo fidarci della qualità del cibo?”

Le normative ci sono, ma i controlli?
“La sicurezza alimentare – prosegue Mori – è regolata dalla legge e viene controllata principalmente da due enti: l'Asl e il Nas. Il problema è che le normative italiane sono tra le più stringenti al mondo, ma farle rispettare è un'altra questione. La capacità operativa dell'Asl, ad esempio, è molto limitata: leggevo che a Firenze riescono a ispezionare non più del 2% dei locali all'anno. Considerando che la città ha circa 4.000 attività recettive, significa che solo una piccola parte dei locali viene effettivamente controllata. E di questo 2%, quasi la metà riguarda revisioni di attività già ispezionate in passato”.
“Quindi, da un lato abbiamo regolamentazioni molto rigide, dall'altro un sistema che potrebbe portare un locale a non essere mai controllato nella sua intera esistenza. Potrebbe persino non avere la certificazione Haccp, fondamentale per l'attività, né rispettare le normative sulla sicurezza sul lavoro”.
Gli ingredienti devono essere tracciabili
“Un secondo fattore importante è la qualità degli ingredienti. Le normative europee impongono che tutti i prodotti alimentari abbiano una tracciabilità chiara: bisogna sapere da dove provengono e come sono stati trattati. Se, per esempio, in un ristorante arriva una cassa di pesce e viene suddivisa tra più cucine, la tracciabilità deve essere mantenuta per evitare problemi in caso di contaminazione”.
“Lo stesso vale per il kebab: il prodotto deve essere etichettato con ingredienti, provenienza e metodi di lavorazione. Ma questo principio si scontra con la realtà: se i controlli sono pochi, è possibile che qualcuno acquisti ingredienti senza tracciabilità né certificazioni adeguate”.
Come capire se un kebab è sicuro?
“L’unico strumento di tutela per il consumatore è il buonsenso. Ad esempio, se un panino al kebab costa solo 3 euro, qualche dubbio sulla qualità della carne sarebbe lecito. Considerando che un kebab contiene circa 80-100 grammi di carne, un prezzo di 5 euro potrebbe essere più realistico in relazione ai costi delle materie prime. Inoltre, un locale pulito e ben tenuto è generalmente un segnale positivo”.
La gestione del processo produttivo è fondamentale
“Un altro aspetto da considerare è come viene gestito il processo produttivo. Se il kebab viene cotto, poi fatto raffreddare, poi riscaldato più volte, il rischio di contaminazioni batteriche aumenta. Questo vale per tutti i cibi: le normative impongono che gli alimenti cotti siano mantenuti a una temperatura sicura”.
“Ad esempio, nei banchi gastronomia della Coop o dell'Esselunga, il cibo caldo non può scendere sotto i 65°C. Molti supermercati adottano standard ancora più sicuri, mantenendo i prodotti a 71°C, una temperatura che abbatte diversi patogeni”.
Il kebab è una minaccia per la tradizione culinaria italiana?
“Infine, qualcuno potrebbe chiedersi: il kebab offende la cultura italiana? Assolutamente no. La cucina italiana è così potente, vasta e radicata da essere capace di assorbire e trasformare qualsiasi influenza esterna, rendendola propria. Non è raro trovare locali che iniziano offrendo piatti della tradizione cinese, come noodles o dim sum, per poi integrarli con ingredienti tipici italiani, come cinghiale, anatra o manzo di Castellina. Lo stesso vale per il kebab, che si sposa molto bene con i nostri gusti: il sapore della cipolla, la freschezza del prezzemolo o del dragoncello, l’aglio in contrasto con l’acidità dello yogurt, la croccantezza della carne… sono elementi già presenti nella nostra tradizione gastronomica”.
