Il 25 ottobre 2024 moriva, a Piacenza, Aurora Tila. Solo 13 anni. Un’età che ha fatto di Aurora la vittima più giovane in assoluto di quello che, considerate le dinamiche, potrebbe tranquillamente essere rubricato come un femminicidio assurdamente precoce. A processo, il 9 luglio, ci andrà infatti il ragazzino minorenne accusato di averla uccisa spingendola dal balcone. Una storia, quella di Aurora e del ragazzino (ex fidanzato) che forse, a livello nazionale, non ha scatenato i dibattiti necessari. Ci chiediamo se questa nostra percezione sia corretta, giustificata. Ci chiediamo se il caso di Aurora, per ragioni diverse dal caso Cecchettin, non potesse essere il pretesto, per quanto doloroso, per fare una lucida radiografia della gioventù randagia di questi ultimi anni. Quella che in questi giorni, ad esempio, pur non scappandoci il morto, ha popolato le cronache trevigiane. Cronache che raccontano di un gruppo di quindici (!) minorenni che pesta, mandandolo dritto all’ospedale, un coetaneo quindicenne reo di aver denunciato un caso di reiterato bullismo nei confronti di un compagno. Un’autentica spedizione punitiva, quella avvenuta nella zona delle corriere di Montebelluna (Treviso). Ebbene, minacciati, come adulti e genitori, da episodi così gravi, abbiamo chiesto alla psicologa e criminologa Flaminia Bolzan se sul caso di Aurora non ci sia stata, da parte dell’informazione più autorevole, una forma di codardia (ovviamente non stiamo invocando “maggior sensazionalismo”, forse il contrario, maggiore attenzione e analisi, perché queste tragedie, a nostro avviso, contengono qualcosa di tristemente “nuovo” e spaventoso).

“Il caso di Aurora è purtroppo tragico, al pari di altri, ma l’elemento che maggiormente ci colpisce e ci spinge quindi a farci tante domande è proprio quello relativo all’età del presunto assassino, quindicenne, e di una vittima che di anni ne aveva solo 13”, osserva Bolzan. “Non ritengo che non si siano trovati tempo e parole per spiegare cosa sia accaduto, ma al contrario che i media, stavolta in maniera cauta e forse più rispettosa, abbiano scelto di evitare di cavalcare un’onda di emotività che francamente ci avrebbe travolti come uno tsunami. Prima che venga celebrato il processo ogni ipotesi rimane tale e se da una parte le immagini delle telecamere che sono state mostrate dalle tv nazionali e i primi riscontri dell’autopsia non contribuiscono a delineare il perimetro di una narrazione che possa discostarsi da quella “classica” dei femminicidi, dall’altra urge invece interrogarsi sul motivo che potrebbe spingere un ragazzino adolescente ad agire analogamente”.
Appunto, “le motivazioni”. Può un ragazzino quindicenne avere già un qualsivoglia motivo per decidere di porre fine alla vita di una ragazza a cui diceva di tenere?
“La morte di Aurora – prosegue Bolzan – non è da considerarsi una tragica casualità, ma al contrario un campanello di allarme. Anche bello forte. È importante che i media trattino di quello che la cronaca, anche quella nerissima, ci restituisce, ma dal mio punto di vista è necessario che ciò venga fatto con imparzialità e soprattutto con criterio. Senza speculazioni e spettacolarizzazioni. Ciò che è avvenuto ritengo sia figlio di un disagio dilagante, di un’educazione emotiva pressoché insussistente e di un modello culturale che dobbiamo progressivamente scardinare. Il caso di Giulia Cecchettin, che certamente è stato emblematico, ha generato un’attenzione mediatica più impattante ed estesa rispetto ad altri, ma non perché esistono delle vittime di serie A o di serie B. Semplicemente perché in una primissima fase, quando Giulia era formalmente solo “scomparsa”, si è voluto sperare che la stessa potesse essere ancora viva. Ricordiamo bene tutti gli appelli fatti a Filippo Turetta. Sempre su Turetta negli ultimi giorni si è riaccesa una luce in ordine alla valutazione della sentenza di condanna. L’opinione pubblica si è indignata per la non contestazione dell’aggravante della crudeltà, ma è giusto spiegare, e per fare questo servono equilibrio e competenze, che è ovvio e tautologico che l’omicidio implichi sotto il profilo del gergo comune una “crudeltà” nell’azione. Sul piano giuridico però questo termine assume una valenza diversa ed è la Cassazione ad indicare l’orientamento. Non si può pretendere che tutti possiedano un know-how in materia e neppure che una spiegazione esaustiva possa avvenire in qualche riga.

“Il patriarcato – conclude Bolzan – di per sé non giustifica l’enormità di nessun caso, perché ogni caso per essere compreso nei suoi elementi costitutivi, va analizzato alla luce di tante variabili che concorrono a determinare un comportamento. Il peso maggiore a mio avviso è si quello dei modelli errati, ma anche quello di una società che non aiuta i giovanissimi ad apprendere un modo corretto di stare in relazione e gestire le emozioni. La politica potrebbe avere gli strumenti necessari, ma non deve limitarsi ad implementare le misure repressive, deve agire in un’ottica preventiva. Intervenire prima che si verifichino casi del genere. Non tutto è prevedibile, questo è sacrosanto, ma pur nella imprevedibilità i rischi vanno contenuti”.
