Il Ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara ha lanciato il progetto "Educare alle relazioni", un'iniziativa rivolta alle scuole secondarie di secondo grado con l'obiettivo di prevenire la violenza di genere e promuovere una cultura del rispetto. Il piano prevede la creazione di gruppi di discussione, moderati da docenti formati con il supporto dell'Ordine degli Psicologi, in cui gli studenti affrontano temi come maschilismo, cultura patriarcale e violenza sulle donne. Le attività, della durata complessiva di 30 ore, si svolgono in orario extracurricolare e su base volontaria, richiedendo il consenso informato dei genitori per la partecipazione degli studenti.
Il progetto ha suscitato reazioni contrastanti. Da un lato, associazioni come Pro Vita & Famiglia hanno espresso apprezzamento per l'introduzione del consenso informato, ritenendolo un passo importante per tutelare la libertà educativa delle famiglie. Dall'altro, critiche sono arrivate da sindacati e associazioni studentesche, che temono un'eccessiva influenza di gruppi conservatori sui contenuti del programma e sottolineano la mancanza di coinvolgimento delle rappresentanze studentesche nella sua elaborazione.

Si torna a parlare di educazione sessuale nelle scuole, e questo è un passo importante perché sessualità significa educazione, salute e rispetto. Eppure serve il consenso dei genitori, e questo è un paradosso. Si chiede il permesso per un tema che accompagnerà per tutta la vita l'individuo. E quanti genitori si interrogano su cosa viene insegnato in italiano o in storia?
Facciamo questo esempio. Negli anni ’90, con l'emergenza AIDS, il tema della prevenzione entrò nelle scuole. Certo, non a livello nazionale, ma a livello di singola scuola o di regioni, attraverso materiale divulgativo e informativo.
Poi, purtroppo, il tema si andò piano piano ad affievolire. Oggi abbiamo il dovere di fare meglio, con figure competenti come medici, psicologi, educatori — sicuramente non insegnanti, perché hanno già il loro carico di lavoro — o con figure di confine che mancano di quei requisiti scientifici richiesti. Evitiamo gli estremismi e parliamo di ciò che conta davvero: l'affettività, la biologia, il consenso, il rispetto delle diversità e la prevenzione.
Educare alla sessualità non è un'ideologia, è responsabilità. Anche perché la sessualità non è solo un fatto privato, è soprattutto conoscenza. E se la scuola tace, purtroppo, intervengono il web, la disinformazione o la pornografia. Quindi l'educazione sessuale non è un'aggiunta: è parte integrante della crescita e merita spazio, competenza e serietà.
