All’esame del Consiglio dei Ministri il disegno di legge sull’autonomia regionale differenziata preparata dal ministro leghista Roberto Calderoli. Nella riunione del 30 gennaio del pre-Consiglio è stato deciso di dare qualche “ritocco”, a quanto pare sulla procedura di approvazione, che rafforzerebbe il ruolo del Parlamento che, dopo l’intesa fra lo Stato e le Regioni, effettuerebbe anche un voto “d’indirizzo”. Il testo prevede che l’intesa venga approvata dal governo, che poi girerà alle Camere lo schema d’accordo con le Regioni in attesa (fra cui il Veneto di Luca Zaia e l'Emilia Romagna di Stefano Bonaccini).
Per quanto riguarda i contenuti, la proposta di legge mira a definire i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni, ovvero gli standard minimi di diritti sociali e servizi che devono essere garantiti sull’intero suolo nazionale. Una volta definiti questi, le Regioni potranno chiedere allo Stato la gestione delle diverse materie. Il testo non specifica quali saranno quelle in cui si potrà adottare l’autonomia per una Regione, dando così un’ampia libertà di proposta ai governatori. Nel novero delle richieste di trasferimento di deleghe dal centro alla periferia, quindi, potrebbero finire ambiti di importanza strategica come i trasporti (in primis, i porti), la scuola, l’energia, la tutela e la sicurezza sul lavoro, l’ambiente (oltre alla sanità, già regionalizzata). L’elenco è contenuto nell’articolo 117 della Costituzione.
All’articolo 9 il disegno di legge Calderoli affronta il nodo critico delle “misure perequative”, ovvero del fondo da cui trarre le risorse finanziare per correggere gli squilibri fra Nord e Sud. Lo hanno fortemente voluto non solo le opposizioni, ma anche parte della maggioranza di centrodestra e Confindustria. Il timore è che l’autonomia differenziata spacchi il Paese e possa generare altro debito pubblico. Su quest’ultimo punto, tuttavia, l’articolo 8 afferma che da questa riforma "non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica".