Nella sua lettera aperta, il repubblicano Brian Fitzpatrick esprime forte preoccupazione per le notizie secondo cui gli Stati Uniti starebbero trattenendo materiale bellico già promesso all’Ucraina, proprio mentre Mosca intensifica i bombardamenti contro obiettivi civili. Solo nell’ultima settimana, la Russia ha lanciato oltre 500 missili, nel più massiccio attacco aereo dall’inizio della guerra. Poi sottolinea come il sostegno militare americano, tra sistemi Patriot, missili Hellfire, munizioni d’artiglieria, missili Stinger e altri armamenti, abbia finora permesso a Kyiv di contenere le offensive russe e limitare le perdite di vite umane. Pur riconoscendo la necessità di rafforzare la base industriale della difesa americana, il deputato afferma che non si può scegliere tra la sicurezza nazionale e l’aiuto agli alleati: entrambe le priorità devono essere perseguite. Secondo Fitzpatrick, i soldati e i piloti ucraini non stanno solo difendendo il loro Paese, ma anche l’intero fronte del mondo democratico. È un momento cruciale, avverte, che richiede azioni decise e una leadership chiara da parte degli Stati Uniti. “Nessuna mezza misura nella difesa della libertà”, scrive infine, chiedendo un briefing urgente alla Casa Bianca e al Pentagono sulle scorte militari e sulla scelta di bloccare aiuti ritenuti vitali.

In cosa consiste, concretamente, questo disinteresse degli USA nei confronti dell’Ucraina?
Donald Trump sta attualmente trattenendo in Polonia un consistente carico di armamenti destinati all’Ucraina, bloccando forniture militari fondamentali in un momento cruciale del conflitto. Tra il materiale fermo figurano 92 missili AIM, 30 missili Patriot (PAC3MSE), oltre 8.400 colpi da 155mm per obici, 142 missili aria-terra AGM-114 Hellfire, 252 missili a guida di precisione GMLR, 25 missili Stinger e 125 lanciagranate AT-4. Un arsenale capace di fare la differenza sul campo, ora sospeso a causa di decisioni poco chiare. Intanto, la percezione generale è che l’attenzione verso il destino degli ucraini stia progressivamente scemando, tanto nell’arena politica statunitense quanto nell’opinione pubblica. Domani è previsto un incontro tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e Trump, un faccia a faccia che si preannuncia delicato e forse decisivo. Resta il fatto che la linea del presidente appare sempre più ambigua, e rischia concretamente di lasciare le truppe russe libere di colpire l’Ucraina senza più timore di una reazione efficace da parte dell’Occidente.

La domanda sorge spontanea: c’è davvero l’assoluta necessità di abbandonare gli ucraini al loro destino?
Rispondere non è semplice. A pesare non è soltanto un eventuale disimpegno politico da parte degli Stati Uniti, ma anche una realtà logistica e strategica più complessa. Negli ultimi mesi, diversi analisti hanno segnalato che gli stock di armamenti americani e occidentali sono pericolosamente ridotti, in parte a causa della lunga durata della guerra in Ucraina, in parte per una produzione industriale che fatica a tenere il passo delle necessità belliche. A complicare ulteriormente il quadro, si aggiunge il recente riassetto delle priorità strategiche legato al conflitto in Medio Oriente: molte forniture militari, inizialmente destinate a Kyiv, sarebbero state dirottate verso Israele, in risposta all’intensificarsi delle operazioni militari nella Striscia di Gaza e alle tensioni crescenti nella regione. Una mossa che, se da un lato risponde a un alleato chiave come Tel Aviv, dall’altro rischia di lasciare l’Ucraina scoperta in un momento in cui la Russia ha ripreso a colpire con intensità crescente. In questo scenario, la scelta di sospendere temporaneamente gli aiuti rischia di avere conseguenze gravi e difficilmente reversibili sul campo di battaglia. Certo, alla luce dei toni spesso sprezzanti utilizzati da Donald Trump e da una parte consistente dei suoi sostenitori nei confronti delle richieste ucraine, il sospetto che il governo degli Stati Uniti stia effettivamente lisciando il pelo a Vladimir Putin resta un’ipotesi tanto inquietante quanto plausibile. Non si tratta soltanto di una questione retorica, ma di un orientamento politico che, se confermato, rappresenterebbe una svolta strategica dalle conseguenze potenzialmente devastanti. L’idea che Washington possa progressivamente disimpegnarsi dal fronte ucraino, lasciando alla Russia ampi margini d’azione, alimenta crescenti preoccupazioni tra gli alleati europei e anche all’interno del Partito Repubblicano, in particolare tra le voci più convintamente atlantiste. La posizione di Trump appare ambigua: da un lato l’isolazionismo, utile a fini elettorali, dall’altro un atteggiamento che rischia di apparire fin troppo accomodante verso le autocrazie. Il vero pericolo è che questa ambivalenza venga interpretata a Mosca come un segnale di via libera, proprio mentre il Cremlino accelera i suoi attacchi più duri contro l’Ucraina e sonda la tenuta dell’Occidente.
