Il ministro delle finanze del paese più in bancarotta, nel continente più in bancarotta. Si presenta così Yanis Varoufakis, arrivato a Genova per supportare i lavoratori in sciopero, schierati con il popolo palestinese contro il genocidio. Varoufakis ha rilasciato un’intervista di sei minuti a Chrono: il primo punto è proprio la rabbia che i manifestanti stanno tenendo “alla massima intensità” nei confronti del governo italiano e di tutti gli stati complici di ciò che sta accadendo nella Striscia, perché il “genocidio non è finito e influenza le nostre vite ovunque allo stesso modo”. Lotta dei lavoratori e contro il colonialismo, quindi, trovano un’intersezione in questi giorni di protesta a Genova. Varoufakis racconta anche di aver conosciuto “in tre dimensioni” Francesca Albanese, senza uno schermo a fare da mediatore. “Niente ha più senso di scendere in strada, nelle piazze, nei viali, nei vicoli, nelle stradine secondarie”. Nonostante le forme digitali di attivismo, la mobilitazione fisica ha ancora un valore decisivo: perché quando l’establishment, il potere dominante, trasforma “i parlamenti in farsa”, allora “dobbiamo trasformare le strade in parlamenti”. Le strade, prosegue ancora Varoufakis, “hanno più potere di quanto i trattati filosofici neoliberali ci abbiano permesso di credere”. Il “demos” della democrazia deve “trovare la sua voce dalla strada, ai palazzi, fino al Parlamento”.
Ma le forme del capitalismo sono variate, non basta più che il proletariato si organizzi autonomamente. È l’era del tecnofeudalesimo, che dà il titolo al libro pubblicato dal militante greco due anni fa: oggi il capitale “può relazionarsi dialetticamente con te al di fuori di qualsiasi mercato e può allenarti ad addestrare la macchina”. Qui l’IA sembra il riferimento implicito. Un sistema che impara dagli stessi utenti come indurre in loro desideri che prima non avevano per poi soddisfarli, lasciando parte del profitto al “tecno-signore” che possiede quella quota. Il riferimento concreto è l’utilizzo della tecnologia a Gaza, sviluppata dalle big tech e grazie alle quali Palantir sta addestrando algoritmi “usando dati in tempo reale dei movimenti dei palestinesi oggi, anche dopo il cosiddetto cessate il fuoco”, per poi “venderli al servizio sanitario nazionale in Gran Bretagna”. Una sperimentazione fatta sui palestinesi “mentre vengono bombardati e uccisi” che punta a migliorare la logistica e il supporto a medici e infermieri negli ospedali britannici in casi emergenziali. “La nuova forma di ‘cloud capital’ è addestrata dalle urla, dagli omicidi, dall’angoscia delle persone sul campo di battaglia in zone genocidio, così che quell’azienda possa massimizzare i propri profitti tramite il governo britannico assumendo la gestione operative degli ospedali statali”. E dunque ciò che stanno facendo i portuali genovesi è “cruciale per difendere l’umanità, non solo la Palestina”. Un punto fondamentale, per Varoufakis, è la necessità di evitare la costruzione di “un’aristocrazia operaia”, una verticalità che tradirebbe il senso stesso della mobilitazione. Serve impostare strategie “bottom-up”, dal basso verso l’alto, che al contrario si concentrino sull’orizzontalità delle relazioni tra i lavoratori. Senza cadere – altro rischio – nella prospettiva nazionalistica: abbiamo bisogno di “movimenti operari che uniscono il proletariato con il precariato, con persone che lavorano gratis in stage, persone che lavorano gratis per il ‘cloud capital, magari volontariamente, ma comunque sottopagati. È un compito davvero impegnativo, ma è il compito per fare la differenza tra una società in cui vale la pena vivere e una in cui non vale la pena vivere”.