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Vacanze e turismo in crisi, ma la Tunisia? Ci siamo stati ed ecco com’è, tra il ricordo di Majorana, i datteri, Bella Ciao “versione dance” e le bandiere palestinesi

  • di Leonardo Caffo Leonardo Caffo

  • Foto: Ansa

15 agosto 2025

Vacanze e turismo in crisi, ma la Tunisia? Ci siamo stati ed ecco com’è, tra i datteri, Bella Ciao dance, le bandiere palestinesi, il ricordo di Majorana e...
Tunisia. Una terra lontana, ma in un certo senso vicina. Ecco il racconto di questa parte di Mediterraneo tra le parole di Majorana, Sciascia, le strane abitudini e quella canzone, che conosciamo molto bene, trasformata in versione "dance"...

Foto: Ansa

di Leonardo Caffo Leonardo Caffo

Premessa mediterranea. Eppure, una volta, questo mare era niente di più che un ponte rapido da sorpassare. C’era una lingua, il Sabir, che parlavano tutti: il mediterraneo, forse, era a suo modo uno Stato a parte. La nave parte da Palermo, verso Tunisi, mentre io e Carlo Alberto Giardina siamo carichi di strumenti musicali e registratori: la commissione, più o meno chiara, è quella di fare ricerca sull’Gombri e sui suoni tradizionali tunisini. Insieme a Carlo e Roberta animiamo un collettivo di ricerca, Rethinking Lampedusa col Made Program siracusano, che da tanti anni prova a capire come ricongiungere il Mediterraneo spezzato. Torno in Tunisia una seconda volta, dopo aver fatto ricerca con la Cis Tunisi (si occupa di migrazione “di ritorno”), per intervistare Salah El Ouregli. Un caro amico artista, Aymen Mbarki, con cui lavoro da molto tempo mi dice “lo conosco. È uno dei pochi che è rimasto a suonarlo”. Che cos’è il Mediterraneo? Definizione sporca, banale, di lavoro temporaneo: il mare e le sue coste intese come metafora dell'insieme di culture, storie, tradizioni e stili di vita che si sono sviluppati in nel bacino del Mediterraneo, influenzandosi reciprocamente nel corso dei millenni. Il Mediterraneo è un extra-territorio: prende più continenti, deostruisce molte delle norme geopolitiche che ne regolano le forme. Leonardo Sciascia chiamava il Mediterraneo mari-amaru (mare amaro), un'espressione che racchiude molta della visione che in questo percorso a ostacoli mi ha portato a questo ennesimo viaggio per capirci qualcosa. Amarezza, crocevia di invasioni, di sofferenza e di isolamento.  In gioco c’è, lo dice in modo un po’ maldestro e non troppo preciso Federico Campagna nel suo Otherworlds Mediterranean Lessons On Escaping History (2025), un’epistemologia radicale ma sempre stata minoritaria: una idea di giusto e sbagliato, di tempo e velocità, di processo e natura umana, un modo di conoscere intrinsecamente diverso da quello stesso modo che mi ha portato fin qui, a quasi quarant’anni, a scrivere i miei libri in un certo modo. Non è facile. 

“La fisica è su una strada sbagliata. Siamo tutti su una strada sbagliata …”

(L. Sciascia, La scomparsa di Majorana, Einaudi, Torino 1975, p. 46)

È una storica, forse troppo interpretata e sovrainterpretata, frase di Ettore Majorana. È la mattina del 3 agosto del 2023, e grazie a una amica ed erede ho la possibilità di dialogare con suo nipote nella villa di famiglia a Catania: “Ettore non era normale, ma non dimentichiamoci che era soprattutto un catanese … un irregolare, un irrequieto, uno scomparso per definizione”. In realtà, almeno di questo mi sono convinto dopo aver consultato archivi, letto libri, dialogato coi familiari, la scomparsa di Majorana è soprattutto una questione epistemologica: scegliere il ritiro, l’altrove, come una delle possibilità in gioco (sovvertendo, di fatto, il gioco sociale principale in cui noi tutti siamo inseriti). “Un catanese … un irregolare”, nel senso di un uomo del Sud: un fisico del mediterraneo. E io, che invece sono un filosofo del mediterraneo, che cosa ho da dire su questa storia? Mentre io e Carlo siamo sulla nave penso, Majorana è scomparso forse in un posto così. A quando ho avuto l’idea di iniziare a scrivere un libro sul mediterraneo, ragione per cui ho vinto anche la chance di fare questo altro viaggio, sono successe molte cose che, per usare un eufemismo, mi hanno rallentato. Le idee circolano, e alcuni sono arrivati assai prima di me: mi sono detto che avevo (almeno) due possibilità. Gettare il libro alle ortiche e dedicarmi ad altro, oppure andare avanti e farlo però a modo mio: scrivere intanto dei report di viaggio che non fossero solo sul Mediterraneo, ma che lo fossero essi stessi … circolari, fluidi, fatto di perdite di tempi e di sbadigli. Di considerazioni personali, aneddoti, di una filosofia che non viva solo il suo tempo ma che, appunto, “lo ammazzi”.  Perdere tempo, che implica almeno due cose (una concezione di tempo ben speso, e una convenzione di tempo che non torna più indietro), non è sempre un male: nel frattempo ci sono state guerre atroci, nuovi equilibri europei, distese di epistemologie e filosofie fallite sotto il peso della realtà materiale quotidiana. Chiamerò questa condizione contemporanea, nel corso di queste lavoro che qui inauguro, “la condizione post-mediterranea” simboleggiata da una idea di un futuro in cui l'Europa e il Mediterraneo siano intrinsecamente legati, e il pensiero europeo ormai minoritario rispetto ai pensieri emergenti di altre latitudini del mondo emerga da questa unione fertile. È l’epoca della “Euromediterra” quella che esploreremo, un momento storico dove i vecchi sistemi di pensiero post-novecenteschi sono falliti anche nei loro contraccolpi critici che si erano sviluppati in una critica di quei sistemi ma che comunque ne usavano le stesse logiche.

tunisi, tunisia

Tunisi, Sud Italia

Raggiunta Tunisi, ancora una volta, sembra un pezzo di sud Italia. La musica mediterranea sembra somigliarsi tutta, non ha il confine del frontex a dividerne la geografia, la geo-musica, e questo permette a me e Carlo delle prime registrazioni che dovremmo usare per le nostre meditazioni che sembrano essere le stesse che avremmo potuto fare a Palermo. Il clima politico della Tunisia, in questo momento, è movimentato … Kaïs Saïed (in arabo قيس سعيد, Qaīs Sa'īd; Tunisi, 29 agosto 1958) è un politico e giurista tunisino, professore di diritto costituzionale, presidente della Repubblica Tunisina dall'ottobre 2019 e riconfermato nell'ottobre 2024. È molto amico della Meloni, ha ristabilizzato la situazione post-primavere arabe, “aiuta” nel blocco dei migranti che tanto piace al nostro governo. Eppure, un tempo, questo mare come dicevo era crocevia di pescatori e avventori: l’unica frontiera era la speranza. Ci sistemiamo a la Medina, ormai gentrificata a pezzetti: Ballarò, a Palermo, sembra più arabo di qui. Tra me e me pensavo che il mediterraneo per me coincide con i luoghi di fuga di Caravaggio: la Sicilia, Malta, oggi punti nevralgici della crisi migratoria. Non è un caso: luoghi di arrivo e di fuga dove è facile nascondersi. Per dedizione dunque sono più reali, autentici: qui gli stranieri si sento appunto meno strani. Tunisi, già in nave a Palermo. Centinaia di corpi spalmati per terra per dormire. Io, con loro. La Medina, istintivamente, ricorda un quartiere qualunque di una delle nostre grandi città del Sud: inutile girarci intorno ma la Sicilia ti prepara istintivamente ai “terzi mondi”. 

Civiltà occidentale, Bad Bunny

Per la nostra conferenza e spettacolo ci viene affidato una specie di rooftop di un celebre hotel in centro, ventesimo piano (Habibi dowtown): dall’alto, questa immensa Trapani che chiamiamo Tunisi è tutto un tetto bianco con bandierine rosse. Teatro a cielo aperto di molte contraddizioni. Sulle sponde del Golfo di Tunisi come scalo commerciale fenicio nel IX secondo è nata Cartagine, letteralmente la culla della civiltà occidentale tutta: wikipedia mi ricorda che all'epoca del suo massimo splendore fu capitale di un piccolo impero che includeva i territori sud-orientali della penisola iberica, la Corsica e la Sardegna sud-occidentale, la Sicilia occidentale e le coste della Libia. Io, cartaginese. Quest’oggi, 8 luglio 2025, la notizia del respingimento di Matteo Piantedosi (e la delegazione europea) da Bengasi arriva qui in Tunisia un po’ ovunque: l’autonomia del Magreb, a pieno titolo, la necessità di ripensare dal profondo queste collaborazioni allucinanti con l’Europa per la "gestione dei flussi migratori” … il ripensare, dalle fondamenta, il ruolo di quelli che Toni Negri chiamava i “Nuovi Barbari” (in Impero) che rompono ogni geografia politica prestabilita. Vedo i giornali con la faccia del ministro appesi nei mercatini locali … il mondo, nel bene o nel male, sta già cambiando. La Tunisia mantiene ufficialmente la neutralità nei conflitti interni della Libia, ma sostiene attivamente gli sforzi di riconciliazione tra le varie fazioni libiche in collaborazione con Egitto e Algeria. Questo pezzo di mondo, così importante, tiene i confini tra il nostro universo e qualcosa che da dopo la morte di Gheddafi e con le “primavere arabe” ci appare indecifrabile. Intanto, orde di ragazzini mi inseguono per vendermi della Adidas disegnate da Bad Bunny … sono pressoché identiche, e l’arte del contraffare la moda (e non solo) è qualcosa attraverso cui potremmo capire moltissimo di questi popoli, per cui realtà e imitazione della realtà sfumano nell’unico desiderio di “somigliare” al mito del borghese europeo - inesistente - ma che continuiamo a vendere maldestramente. 

Al caffè di Lampedusa

Dal Marzo del 2025 è stata messa una forte enfasi sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere del Nord Africa. Non tanto quelle che ci separano da “noi”, ma dai loro “loro” … l’Africa nera. I rappresentanti delle istituzioni militari e di sicurezza libiche e tunisini, facilitati dall'UNSMIL, hanno concordato di istituire un centro di ricerca specializzato per gli studi sulla sicurezza delle frontiere. Ufficialmente suona così “l'attenzione è rivolta al miglioramento della coordinazione, della condivisione di informazioni e all'affrontare minacce come il terrorismo e la migrazione irregolare”. In pratica, il razzismo che noi abbiamo verso centinaia di tunisini nei barconi verso Lampedusa è niente rispetto a quello che migliaia di tunisini hanno verso chi prova a superare l’inferno del Sahara verso Nord. Eppure, fino all’agosto del 2023, Tunisia e Libia avevano raggiunto un accordo per cooperare nell'accoglienza dei migranti sub-sahariani bloccati al loro confine condiviso evidenziando le continue sfide umanitarie e di sicurezza nella regione di confine. La disumanizzazione di questo mondo, mentre ancora parliamo dell’urgenza della “raccolta differenziata” (qui, raccogliere i detriti da terra è meno semplice che svuotare il mare con una cannuccia), continua a ritmi violentissimi. Intanto la “chimera Lampedusa” continua a generare i sogni e i prodotti più impensabili e centinaia di tunisini, dal passaporto pressoché irrilevante, continuano le loro traversate della morte nel mediterraneo centrale.  Entro alla “caffè Lampedusa”, col mio maldestro francese parlo col proprietario “lavoro lì tutti gli anni, sa?” … “mio figlio è morto per raggiungerla, così per ricordarlo gli ho dato questo nome”. 

caffo tunisia

Una mattina mi son svegliato

La mattina, a colazione, sul tetto della palazzina tunisina dove dormo come un mantra passa una strana versione egiziana di “Bella Ciao”: il video, tra la Casa di Carta e il film hard, mostra delle ragazze seminude che sculettano. Chiedo alla proprietaria che mi ospita “sa che canzone è?”, e lei mi dice “una canzone dance araba molto cool”. La Storia, oggi, è questa cosa qua: una contraffazione di per sé, come nei social network dove vero e falso sono solo due momenti dei fenomeni ormai livellati e accartocciati sul nulla. Mi danno qualche dattero, mentre ricevo alcune voci intellettuali locali per le interviste che devo fare, e intanto dalla finestra inizio a sentire il muezzin (la persona incaricata nella moschea di chiamare i fedeli alla preghiera islamica, detta ṣalāt, cinque volte al giorno) richiamare il quartiere. Questa assurda versione di “Bella ciao” dance si mischia  con l'adhan, l'invito alla preghiera tradizionale, e per un attimo mi sembra di essere attraversato da tutto il contemporaneo in un sol gesto. Quanto sono vuoti, penso tra me e me, i discorsi di tanti colleghi sul presente. Quanto poco mondo gli è entrato dentro, da quanto poco “sapere che gli altri non chiamano conoscenza”, come direbbe Paul B. Preciado, ci siamo lasciati penetrare. Tutti. 

Un po’ ovunque, bandiere palestinesi sventolano qua e là: balconi, hotel, baretti per caffè. La Palestina ha riunificato un mondo islamico spesso diviso, una buona ragione per andare contro il nemico di sempre (Israele) in spirito ottomano riunito, ma grattugiando a fondo spesso sembra un pretesto. Sarà un caso ma non c’è libreria che non abbia esposta una copia de “La mia battaglia” di Adolf Hitler: non di certo un classico della cultura araba. Come sempre, dicevo, la Storia fa giri strani. E intanto anche noi, mentre ci giriamo due secondi per guardare il mare, ganascia nella ruota posteriore dell’auto: 50 euro in nero al poliziotto per toglierla e dirci “bella Italia!” … “ah, siciliani? Mafia!”. Eppure, i miei contatti in ambasciata, mi dicono che dobbiamo lavorare a sempre più progetti culturali di integrazione: è la solita storia, la mia piccola bolla culturale pensa che una bella mostra sul mediterraneo qualche video “flashato” dentro un iPad ficcato nel muro di qualche galleria a La Goulette, possa “spostare molte più cose di quelle che pensiamo”. È il game, ognuno gioca in solitaria la propria irrilevante partita. 

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Barconi e cretine

I dati relativi ai barconi con a bordo migranti tunisini diretti in Europa attraverso il cimitero del Mediterraneo centrale indicano un aumento degli sbarchi verso Lampedusa, con partenze dalla Tunisia, in particolare dalla zona di Zarzis a circa 300 chilometri dalla capitale: ci sono meno controlli, e se possibile addirittura più corruzione. Questi barconi, spesso affollati e in condizioni precarie, trasportano migranti di diverse nazionalità, ma i tunisini aumentano di anno in anno e fanno compagnia ad altri africani perlopiù di Camerun, Costa d'Avorio, Guinea, Mali, Senegal e Sudan. I migranti, mi raccontano dalla CIS Tunisi con cui ho collaborato per i miei progetti a Lampedusa, dichiarano di pagare cifre che variano da 1000 a 2000 dinari tunisini per la traversata. Luca Misculin, nel suo recente Mare Aperto (Einaudi 2025), racconta bene la storia millenaria del Mediterraneo per quella che è: una grande epopea umana di migrazioni, morte, speranze e movimenti costanti. Tuttavia, narrazioni così dettagliate a parte, il problema è come convincere con il fallimento generale del presupposto delle filosofia post-marxiste: non contemplare, ma cambiare il mondo. Non si cambia un accidente, si arreda il proprio reale e ci si fa qualche tappeto moralistico con cui sentirsi migliori con gli amici a cena: tutto, e in questo il Mediterraneo resta una metafora straordinaria, intorno a noi affonda e riemerge a galla in quella che qui definiscono “lasagna mediterranea” fatta a strati. Mentre leggo quel piccolo capolavoro di Charles Olson che è Chiamatemi Ismaele. Uno studio su Melville (Minimum Fax, 2025), un’amico mi manda un video di una cretina silurata da un dibattito al Monk di Roma che mi paragonava a Turetta, mi dice “dovresti rispondere”. Charles Olson a un certo punto scrive “è necessario capire ogni tipo di furia e di odio” … e in fondo, pensavo, questa cretina non è poi così diversa dalle ragioni per cui ignoriamo ciò che succede a Zarzis: siamo incapaci di pensiero complesso, di diversificazione dei fatti del mondo, di astrazione che non sia quella con cui ci imbocca il pensiero maggioritario … “abbiamo tutti una famiglia da mantenere”, scrive Olson, e questo ci porta a tirare a campare facendo i video demenziali di una scema qualsiasi sui social, armata di moralismo, mentre il mondo attorno le crolla davvero. La Storia, come ho ripetuto più volte, gira in fretta: sta già girando anche per tutte queste cretine che tanto non leggeranno mai fino a qui. 

Alla fine

Dal 2014 a oggi (Luglio 2025) si stima che oltre 30.300 persone siano morte o disperse nel Mediterraneo: la media, andrebbe spiegato forse anche ad alcune di quelle cretine tanto fissate con dati spesso irrilevanti, è di circa otto persone al giorno… ovvero circa 3.030 ogni anno. La maggior parte di queste vittime si registra sulla rotta del Mediterraneo Centrale. I più numerosi naufragi avvengono al largo delle delle coste tunisine, o comunque lungo la rotta tra la Tunisia e Lampedusa: spesso la mia filosofia, dedicata a questi temi, mi è sembrata addirittura più irrilevante di quanto già non sia di solito. Le famiglie tunisine spesso si battono per avere notizie dei loro cari dispersi in mare, evidenziando il dramma umano dietro questi numeri: negli anni ne ho incontrate a centinaia, spesso davvero gli basta parlarne. I migranti, tutti, altri Ettore Majorana che ci mostrano che siamo tutti sulla strada sbagliata, ancora una volta.

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