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Ve ne fregate del fatto che l'Europa abbia messo nel mirino Elon Musk? Fate male: vi spieghiamo perché da questa battaglia dipende anche la vostra libertà di espressione (sui social e non solo)

  • di Roberto Vivaldelli Roberto Vivaldelli

18 luglio 2024

Ve ne fregate del fatto che l'Europa abbia messo nel mirino Elon Musk? Fate male: vi spieghiamo perché da questa battaglia dipende anche la vostra libertà di espressione (sui social e non solo)
È guerra tra il patron di X, Elon Musk, e la Commissione europea. All’origine della lite c'è l’applicazione del controverso Digital Service Act (DSA), un possibile strumento nocivo per la libertà di espressione sui social media. Paolo Borchia (Lega) a Mow: “Con le proprie scelte, l’Ue ha fatto in modo di dare il potere di censura a un organismo politico, che così può mettere a tacere chi la pensa diversamente”. Critici anche Marcello Foa e Marco Rizzo

di Roberto Vivaldelli Roberto Vivaldelli

Il botta e risposta sui social tra il patron di X, Elon Musk, e i commissari europei al mercato interno Thierry Breton e alla concorrenza Margrethe Vestager, ha riacceso i riflettori su una delle leggi più distopiche e autoritarie mai partorite dalla comunità europea: il Digital Service Act (Dsa).

Secondo la Commissione europea la piattaforma social non rispetterebbe le linee guida del Digital services act (Dsa), la normativa Ue sui servizi digitali. Nello specifico, secondo la Commissione Ue, la “spunta blu” usata per gli “account verificati” di X “non corrisponde alla prassi del settore e inganna gli utenti”. Sempre secondo la Commissione, chiunque può iscriversi per ottenere lo status di "verificato", e questo influirebbe negativamente sulla capacità degli utenti di prendere decisioni libere e informate sull'autenticità degli account e dei contenuti con cui interagiscono.

Come tutti sanno si tratta di account premium, con funzioni avanzate a pagamento e le cui identità sono state accertate, nella massima trasparenza. Musk ha replicato spiegando che il Dsa è “disinformazione” e rivelando l’esistenza di un “accordo segreto” che la Commissione europea avrebbe presentato alle piattaforme social per censurare i contenuti online. La vicenda potrebbe finire in tribunale, come ha annunciato Elon Musk nelle scorse ore.

Elon Musk
Elon Musk ai ferri corti con l'Unione europea
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L’applicazione arbitraria del Digital Service Act

Ma che cos’è il Digital Service Act che la Commissione europea sta usando in maniera arbitraria e pretestuosa per colpire la piattaforma X? Si tratta di una delle normative più distopiche e autoritarie mai concepite nella storia recente europea, degne di “1984” di George Orwell, dove si agita lo spauracchio della disinformazione per arrivare alla censura dei contenuti scomodi.

Lo scorso ottobre, a poco più due mesi dall’approvazione della normativa, l'Ue inviò un primo avvertimento ad Elon Musk per la presunta disinformazione circolata nell’ambito dell’attacco di Hamas contro Israele, che avrebbe compreso notizie false e “immagini vecchie” e “riciclate”, come se X fosse l’unica piattaforma vittima della propaganda di guerra.

In una mossa senza precedenti, Thierry Breton, il commissario responsabile dell'atto, scrisse Musk per esortarlo a garantire “una risposta rapida, accurata e completa” alla richiesta di contattare Europol, l'agenzia di polizia dell'Ue, e “le agenzie di polizia competenti. Come ha spiegato in un thread su X il giornalista Glenn Greenwald, la mossa dell’Ue rappresenta l'ultima escalation di “un regime di censura statale sempre più dispotico” che ha messo radici non solo in Europa, ma in tutto l’Occidente.

Commissione europea
La causa della lite? Il Digital Service Act

“Deriva censoria dell’Ue”

“Non possiamo e non dobbiamo ignorare le accuse lanciate da Elon Musk all’Ue, se fossero vere sarebbe gravissimo e ci auguriamo venga fatta la massima chiarezza a tutti i livelli. La Lega si è sempre battuta contro la deriva censoria di questa Commissione europea, siamo stati l’unico partito italiano a opporsi al Dsa sin dall’inizio, lottando per la tutela della libertà di espressione, che per noi è fondamentale” ha spiegato a MOW l’europarlamentare della Lega, partito del vicepremier italiano Matteo Salvini e membro del gruppo dei Patrioti per l’Europa Paolo Borchia.

“Con le proprie scelte, l’Ue ha fatto in modo di dare il potere di censura a un organismo politico, che così può mettere a tacere chi la pensa diversamente: questo ci preoccupa molto. Ed è singolare che il commissario Breton, che sembra aver avviato una crociata personale contro Musk, si preoccupi delle spunte blu dei social network, come se l’Europa non avesse problemi più urgenti da affrontare”, ha aggiunto.

Duro accuse anche da Stefano Bargi, consigliere regionale della Lega: “Lo scopo è chiaro - ha osservato - ed è quello impedire all’opinione pubblica, di farsi un’idea diversa, su situazioni “complicate”, da quella imposta dalla propaganda della commissione. Limitando al contempo le libertà degli Stati di poter gestire autonomamente il tema dell’informazione al proprio interno. Il fatto poi che questa proposta arrivi, ma soprattutto acceleri, proprio a ridosso di conflitti a livello nazionale che Bruxelles vorrebbe fossero interpretati a senso unico, da sempre di più la dimensione di regime che sta assumendo l’Ue a guida di forze economico bancarie. Insomma, non fanno l’interesse dei propri cittadini e non vogliono nemmeno che questo ultimi si permettano di farsi un’idea diversa, altrimenti si sa, le elezioni potrebbero andar male”.

Ma non c’è solamente la Lega a lanciare dure accuse contro l’Ue. Anche Marco Rizzo, leader del partito Democrazia Sovrana e Popolare ed ex europarlamentare del Partito Comunista. “Gravissime le accuse mosse da Elon Musk nei confronti della Commissione europea circa il presunto accordo segreto che svelerebbe un meccanismo di censura inquietante. Con il Digital Service Act l’Ue ha mostrato, ancora una volta, il suo feroce volto autoritario. È la stessa Ue che muove accuse contro Paesi come la Russia, quando in casa censura le idee e le opinioni scomode”, ha affermato.

Marcello Foa, giornalista, docente universitario ed ex presidente della RAI, ha spiegato invece che, proprio grazie ad Elon Musk, “abbiamo scoperto che per molti anni di fatto le opinioni sono state censurate sui social media negli Stati Uniti grazie ad accordi segreti tra il governo americano le piattaforme social".

"Le accuse di Musk andranno provate però mi sembra improbabile che il patron di X si sia esposto senza un minimo di fondamento. E questo pone un problema molto serio per la credibilità dei nostri sistemi politici. Pensavamo che la censura segreta dei social media, sperimentata negli Usa, non si sarebbe più ripetuta. Invece ora aleggia il timore che la Commissione europea stia tentando di riproporre lo stesso opacissimo schema anche in Europa, e questo sarebbe gravissimo, anche se dobbiamo essere sicuri che Elon Musk abbia le prove di quanto afferma. Sono da sempre scettico sul Digital Service Act perché questo tipo di provvedimenti, che si prefiggono di lottare contro le fake news, in realtà possono essere usati per censurare notizie o opinioni scomode per l’establishment. La denuncia di Elon Musk accentua questi timori”, ha quindi aggiunto lo stesso Foa.

Elon Musk
Il social X è finito nell'occhio del ciclone

Che cos’è e come funziona a il DSA

L’Unione europea spiega che la legge sui servizi digitali (Dsa) e la legge sul mercato digitale (DMA) costituiscono un unico insieme di norme che si applicano in tutta l'Ue. Hanno due obiettivi principali, secondo Bruxelles: “Creare uno spazio digitale più sicuro in cui siano tutelati i diritti fondamentali di tutti gli utenti dei servizi digitali" e “creare condizioni di parità per promuovere l'innovazione, la crescita e la competitività, sia nel mercato unico europeo che a livello”.

La priorità della normativa? Come ha spiegato Breton, la “protezione dei bambini” e la “lotta alla disinformazione”, compresa la “propaganda filorussa”. Il commissario europeo assicurò che non ci sarebbe stato alcun “ministero della verità” ma chi stabilisce cosa è “propaganda filorussa” o no? Preoccupazioni che numerosi esperti e politica hanno sollevato. Basti pensare all'Osservatorio europeo dei media digitali (Edmo), un centro di fact-checking finanziato dall'Ue che mira a "identificare la disinformazione, sradicarne le fonti o diluirne l'impatto". Tale organizzazione si dichiara "indipendente" e “imparziale", ma la strada verso l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

Come Laure Westell su the European Conservative, lanciato dalla Commissione nel giugno 2020 con un budget di 13,5 milioni di euro, raccoglie relazioni sui contenuti online nell’Ue. Questi includono regolari "briefing di fact-checking", "rapporti sulla disinformazione" per paesi specifici e "avvertimenti precoci" sulle tendenze di disinformazione previste. 

Il Dsa è progettato per funzionare in combinazione con il cosiddetto "Codice di condotta rafforzato sulla disinformazione" dell'Ue (il Codice), che ora richiede alle piattaforme online con oltre 45 milioni di utenti attivi al mese, ovvero aziende come Facebook, X e Instagram, di censurare rapidamente la "disinformazione" e la "disinformazione" e di fornire aggiornamenti regolari, o "rapporti sulla trasparenza", su tutto il lavoro che stanno svolgendo "per combattere la disinformazione", come afferma il nuovo sito web del "centro per la trasparenza" dell’Ue. Grazie al DSA, la Commissione Europea può minacciare le aziende Big Tech: se queste ultime non non rispettano il Codice, possono essere multate fino al 6% del loro fatturato globale annuo, sottoposte a indagine da parte della Commissione e potenzialmente persino bandite dall’UE.

Elon Musk
Musk non si arrende e promette battaglia

Perché è una legge che minaccia la libertà di espressione

L’approvazione, nell’agosto 2023, del Digital Service Act (DSA) provocò la reazione di 60 ONG che scrissero al commissario europeo Thierry Breton chiedendogli di fornire delle spiegazioni sulla normativa. Nella lettera firmata da 60 associazioni, si esprimeva preoccupazione per i commenti dello stesso Breton e del presidente francese Emmanuel Macron che aveva ipotizzato la possibilità di “bloccare le piattaforme social” in relazione ai disordini civili che erano scoppiati in Francia nel 2023.

Rispondendo alle preoccupazioni sollevate dalle ONG, Breton osservò che la Commissione europea, “anziché affidarsi alla buona volontà delle piattaforme ha scelto di organizzare lo spazio digitale con diritti, obblighi e garanzie chiari", ha affermato, sottolineando ancora una volta che le piattaforme social che non “riusciranno a implementare le norme sulla censura dovranno affrontare sanzioni fino al divieto totale nell’Ue”.

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