Se pensate che guerre, crisi e rivoluzioni scoppino per caso non avete capito niente del mondo in cui vivete. Se ritenete il conflitto tra Ucraina e Russia la semplice conseguenza del desiderio di un leader, il presidente russo Vladimir Putin, di espandere i confini di Mosca, allora avete scelto di ascoltare la spiegazione più semplice. Se, ancora, siete convinti che Israele abbia raso al suolo gran parte della Striscia di Gaza, e che Tel Aviv minacci di fare altrettanto con l'Iran, solo per motivi di sicurezza o legati al terrorismo (Hamas, Hezbollah, Pasdaran), non avete colto la reale posta in palio. Le rivolte in Africa – emblematico quanto accaduto nella Repubblica Democratica del Congo – la guerra civile in Myanmar, la violenza che affligge l'America Latina, l'instabilità dell'intero Medio Oriente: tutto questo è legato a processi che si svolgono dall'altra parte del mondo. È legato, più che alle mosse di presidenti e rivoltosi (che, semmai, sono conseguenze), all'andamento dei prezzi delle materie prime che, in seguito alla finanziarizzazione dell'economia, viene deciso da grandi banche occidentali, speculatori e fondi d'investimento in cerca di affari. “È l'applicazione in economia della teoria del caos: l'aumento del prezzo della farina a Chicago causa una rivolta in Tunisia”, scrive Rupert Russell nel suo Guerre dei prezzi (Einaudi), un libro uscito nel 2022 ma oggi più fondamentale che mai per capire le dinamiche del presente. Cosa significa? Semplice: le materie prime - petrolio, ma anche farina, grano, cereali, definite commodities – si scambiano sul mercato da speculatori anonimi, proprio come se fossero azioni finanziarie sulle quali scommettere, rilanciare, puntare contro e guadagnare sulle spalle di interi popoli.


Russell sostiene che gli eventi geopolitici avvenuti negli ultimi due decenni - ma anche quelli, aggiungiamo noi, molto più recenti - non dovrebbero essere considerati “fiocchi di neve che fluttano liberamente” quanto piuttosto episodi “legati insieme in una valanga”. Ogni scossone locale genera un terremoto che dà vita a una crisi (conflitto, guerra, rivoluzione, stato di tensione permanente), che si unisce a sua volta a ulteriori crisi fino a stravolgere il pianeta intero. Attenzione, dunque, alle fluttuazioni del prezzo di grano e caffè. Il primo, nel 2008, è aumentato innescando la famigerata Primavera araba, favorendo indirettamente la nascita di milizie terroristiche in Medio Oriente e dando il via alle migrazioni di massa verso l'Europa (con conseguenti ascese di leader populisti). Il secondo, invece, è calato spingendo i migranti dal Centro e Sud America agli Usa (con conseguente terreno spianato per l'avvento del populismo e di Trump). E ancora: l'impennata dei prezzi del petrolio (gonfiati da Wall Street) aveva incoraggiato Putin a piombare sull'Ucraina, mentre la loro fragorosa discesa ha scatenato il caos economico in Venezuela che ancora adesso permane a Caracas. “I prezzi creano un ordine spontaneo intorno a noi. Ma quando variano improvvisamente l’ordine si infrange e il caos erompe”, ha scritto Russell. Detto altrimenti, i prezzi delle materie prime (sempre più scarse e vittime della grande finanza) sono diventati i nuovi motori del caos mondiale.

Vi dicono niente le Terre Rare in Ucraina? Altro che democrazia a rischio, il vero nodo sono questi elementi chimici fondamentali per una vasta gamma di tecnologie moderne. Vengono infatti utilizzate in componenti elettronici come magneti permanenti (ad esempio nei motori elettrici e nei generatori eolici), batterie ricaricabili (come quelle dei veicoli elettrici), dispositivi ottici, luci fluorescenti, catalizzatori per automobili e in molti altri settori tecnologici e industriali. Che dire, invece, del Congo con le sue miniere di cobalto e di tanti altri minerali necessari per alimentare l'industria green e delle auto elettriche? Se tutto, o quasi, dipende dalle materie prime, allora basta unire i punti e troviamo una lista di Paesi che rischiano di essere travolti dalle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime (con guerre o, più presumibilmente, tensioni e rivolte). Il Cile, per esempio, è il principale produttore mondiale di rame, un minerale cruciale per l'industria elettronica e le tecnologie verdi, e controlla riserve significative di litio (per le batterie dei veicoli elettrici) e molibdeno (utilizzato nelle leghe metalliche). L'Argentina è un importante produttore di litio, può contare su abbondanza di petrolio e gas naturale, e in più esporta soia e carne bovina. Il Perù è uno dei principali produttori mondiali di oro, rame, argento e zinco. Tra le altre zone caldissime attenzione alla Corea del Nord (tecnicamente ancora in guerra contro gli Stati Uniti), ricchissima di Terre Rare, alla Mongolia (oro e carbone) e all'intero Mar Cinese Meridionale (da 7 a 11 miliardi di barili di riserve potenziali di petrolio, 930 miliardi di metri cubi di gas naturale e importanti minerali). Attenzione, dunque, perché anche il caos segue delle regole ben precise...

